Gli “errori del nostro tempo” una frattura lunga 150 anni

L’8 dicembre 1864 Pio IX emanava il Sillabo: fu una seconda controriforma
Di Gilberto Muraro
Dome of St Peter's, Rome, Italy --- Image by © Image Source/Corbis
Dome of St Peter's, Rome, Italy --- Image by © Image Source/Corbis

di GILBERTO MURARO

L’8 dicembre 1864, un secolo e mezzo fa, Papa Pio IX emanava il Sillabo, l’elenco degli 80 “principali errori del nostro tempo”, tra cui stanno alcuni principi basilari dello Stato moderno. Parve una frattura insanabile tra il Papato e la società liberale. Così non fu; e tuttavia è bene riflettere sul Sillabo per comprendere meglio alcuni problemi italiani ancora attuali.

Il punto di partenza è la fondazione dello Stato liberale, inteso come stato laico e democratico, quale emerge dalla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti nel 1776, i cui sottoscrittori erano in maggioranza persone di profonda fede nell’ambito della diaspora protestante. In sintesi, essa afferma che gli uomini sono fatti dal Creatore uguali e liberi, con il diritto di eleggere un governo che li aiuti nella ricerca della sicurezza e della felicità. Afferma quindi la sovranità popolare e il pluralismo religioso, quest’ultimo rafforzato dal divieto costituzionale di imporre o proibire qualsiasi culto religioso.

Pochi anni dopo gli stessi principi vengono sanguinosamente affermati dalla rivoluzione francese. L’origine protestante oltre Atlantico e l’origine violenta in Europa probabilmente aggravano l’immediato rigetto cattolico dello Stato liberale.

Poi il miracoloso e breve intervallo liberale e nazionale di Pio IX, seguito dal brusco ritorno all’opposizione radicale quando l’Austria minaccia lo scisma e i patrioti proclamano la Repubblica Romana, chiusa nel sangue dalle truppe francesi. Quindici anni dopo Pio IX fa i conti con tutte le fronde interne ed esterne pubblicando il Sillabo.

Colpisce l’eterogeneità degli 80 errori elencati, assai diversi quanto a spessore intellettuale e a impatto concreto e in alcuni casi sconfinanti nell’ovvio. Guardando solo ai temi politici, il Sillabo riafferma la liceità e l’opportunità del potere temporale del Papa; difende il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici; nega che ogni uomo sia libero di seguire altre fedi e che in esse, protestantesimo incluso, sia possibile o anche solo sperabile trovare la via della salvezza; emette condanna totale a proposito di “socialismo, comunismo, società segrete, bibliche e clerico-liberali”; rigetta l’esclusiva potestà dello Stato in tema di scuole pubbliche, di matrimonio civile e di divorzio; rigetta infine i principi fondanti dello Stato laico: è errore sostenere la non convenienza della religione cattolica come unica religione di Stato; è errore difendere la libertà concessa ad altri culti anche in regioni cattoliche; è errore negare “che la libertà civile di qualsiasi culto, come anche la piena potestà a tutti concessa di manifestare apertamente e in pubblico qualsiasi opinione o pensiero, porti più facilmente a corrompere i costumi e gli animi dei popoli”; è errore, insomma, sostenere che “la Chiesa deve essere separata dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa” .

Quasi un secolo dalla Dichiarazione d’indipendenza del 1776 è dunque passato invano per il Papato. Anzi, pare che proprio a quella si rivolga il Sillabo quando nega la sovranità popolare e nega che sia “lecito rifiutare l’obbedienza e anche ribellarsi ai principi legittimi”.

Si noti tra l’altro che il Sillabo parla genericamente di Stato oppure di re e principi, mai menziona la repubblica e la democrazia, come se il rigetto politico si estendesse al rigetto linguistico. Di democrazia parlerà nel 1888 (nel documento Libertas) Leone XIII, successore di Pio IX e tra i massimi ispiratori del Sillabo quando era ancora vescovo. Egli concede che “non è vietato prediligere governi temperati di forme democratiche, salva però la dottrina cattolica circa l’origine e l’uso del potere”, mentre definisce un’assurdità sostenere che “il potere pubblico emana, come da fonte primaria, dal popolo”.

Dopo il Sillabo, la via della riconciliazione è stata lunga e faticosa, passando attraverso il Partito popolare di Sturzo, i Patti lateranensi del 1929, il comune patire in due guerre mondiali e nella Resistenza, la Costituzione repubblicana del 1948, l’ascesa al potere dei cattolici, il Concilio Vaticano II, la scomparsa del pericolo comunista. Un emblema di questo percorso è offerto dal divorzio, che in Europa nasce con le riforme napoleoniche del primo Ottocento e in Italia arriva, dopo uno scontro durissimo, nel 1970: un’attesa smisurata ma alla fine coronata da successo.

Molti continuano a dubitare dell’effettivo completamento del percorso. Il potere temporale è stato sconfessato da Pio VI, ma, eliminata la forma territoriale, lo vedono sopravvivere come sistema privilegiato di relazioni economiche e politiche. E dubitano, specie dopo la profonda involuzione interna rispetto al Concilio vaticano II, che la gerarchia cattolica abbia sul serio accolto il concetto di stato laico, in cui le leggi non sono verità assolute ma “compromessi alti” (secondo la felice espressione del Card. Scola) che consentono la proficua convivenza tra diversi, in cui dunque le religioni stabiliscono per i propri fedeli cosa sia peccato e lo Stato stabilisce per tutti i cittadini cosa sia reato, senza che i due concetti debbano coincidere.

E infine registrano con sgomento le durezze del Vaticano in tema di bioetica, incurante che le facoltà proposte riguardino, al pari del divorzio, chi non si senta vincolato ai precetti religiosi.

Ma anche i dubbiosi traggono oggi nuova speranza dalla figura di Papa Francesco, che forse riuscirà a chiudere davvero la vicenda del Sillabo senza attendere i quattro secoli della vicenda di Galileo.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova