I Casalesi a Padova: "Spariamo, mettiamo la bomba"

Affari, piani e minacce del gruppo guidato da Mario Crisci, detto "il Dottore", come emergono dalle intercettazioni. Gli arrestati sono 27, due i latiitanti
Mario Crisci, detto "il Dottore"
Mario Crisci, detto "il Dottore"
VENEZIA. «Ci può stare anche l’Antimafia che ci sta dietro... Non me ne sbatte minimamente un c...o! Io a quella la prendo e la faccio saltare in aria». Mario Crisci, detto "'o Dottore", il capo della filiale veneta dei Casalesi non prendeva alcuna precauzione quando parlava al telefono. Se un imprenditore non pagava, in automatico scattavano le "sanzioni", prima a parole, poi con minacce ed esibizioni di armi, infine con pestaggi.


L’attività di usura ed estorsione nei confronti delle aziende era talmente frenetica (oltre cento i casi accertati dagli inquirenti in poco più di un anno) che non c’era tempo per utilizzare codici e per prendere precauzioni nelle comunicazioni. Anche perché il rispettare le scadenze era condizione necessaria a far funzionare l’intero meccanismo. «Non gli interessa nulla di Questura o Finanza», dice Diana Ziotti in una conversazione intercettata dagli uomini della Dia di Padova. «Lui (
Mario Crisc
i) darà la penicillina a tutti, spara... mette la bomba qui, la bomba su, la bomba giù».


L’unica accortezza utilizzata dal gruppo era l’utilizzo di Salvatore Destito, titolare del bar Intermezzo, come sentinella sotto la sede dell’Aspide in via Lisbona 28. Al barista veniva chiesto, dietro compenso, di avvisare i componenti dell’organizzazione dell’arrivo di auto sospette, riconducibili alle forze dell’ordine. «Ho una macchina blu proprio qui davanti, proprio davanti al bar, avvisa Massimo (
Covino
)». Dall’altra parte della cornetta Antonio Parisi: «Una macchina blu? Ah, sono qui i Power Ranger».


Tutte le aziende in difficoltà venivano trovate grazie al lavoro della componente nostrana dell’organizzazione. Imprenditori a loro volta usurati diventati organici al sodalizio, commercialisti compiacenti, dipendenti di studi legali con contatti nei tribunali. La rete aveva maglie strettissime. La scelta ricadeva sugli imprenditori più disperati, che pur di sopravvivere qualche mese in più erano disposti a far entrare la camorra nelle loro ditte.


«Vi ho spiegato le cose come stanno? Voi avete capito dove siete andati a chiedere soldi? Lo avete capito o non lo avete ancora capito bene?»: Crisci quando contattava gli imprenditori metteva subito in chiaro di essere il volto in Veneto dei Casalesi. Ci teneva subito a far presente il potere intimidatorio del «marchio» di Casal di Principe. Lo faceva anche presentandosi al nuovo cliente con una cassa piena di bufale del caseificio Reccia di Casal di Principe (riconducibile a Stefano Reccia, esponente di spicco del clan). «Sapete in quale paese di merda io vivo in provincia di Caserta? O ve lo devo ricordare?».


Le minacce arrivavano direttamente al telefono: «Che dobbiamo fare? Dobbiamo andare da vostra moglie a fare burdello? Ditemelo, io non ci metto proprio niente a venire fino a casa vostra e vi faccio mangiare l’assegno davanti a vostra moglie». Se non bastava, le minacce si allargavano anche alla famiglia. «Ci presentiamo tutti quanti da vostra moglie, ci presentiamo in maniera educata e gli spieghiamo tante cose, va bene? Avete capito? Però ricordatevi una cosa... non vi fate male solo voi, si fa male tutto il resto della famiglia, vale la pena?».


Crisci "'o Dottore" minacciava direttamente le sue vittime, spendeva il nome dei casalesi al telefono e di persona. Quando però era necessario passare alla violenza fisica, entravano in azione le squadre di picchiatori. Ferdinant Selmani, l’albanese residente a Brugine nel Padovano, parlando con una parente dice: «Sono in ufficio, quando mi dicono di andare a picchiare qualcuno, andiamo a picchiarlo». L’albanese si lamenta della paga misera: «Pochi soldi (
800 euro
) ma è meglio che stare per strada e non è pericoloso, perché tanto quelli non si ribellano mica, accettano le botte».


Fra le 29 persone colpite da ordinanza di custodia cautelare c’è anche un ex poliziotto della Questura di Milano: Christian Tavino, che gli agenti della Questura di Vicenza avevano denunciato il 5 aprile perché aveva esibito il tesserino della polizia in una discoteca per non pagare il conto pur non essendo più in servizio dal 2005.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova