I dispersi erano stati deportati nei gulag

Una ricerca rivela la sorte di tanti prigionieri dell’Armir, anche padovani, reclusi dai sovietici nel 1941-43 e poi spariti
Di Nicola Stievano

CONSELVE. Per decenni i parenti li hanno creduti dispersi durante la campagna di Russia, probabilmente caduti in combattimento o durante la disastrosa ritirata che costò la vita a migliaia di soldati italiani dell'Armir. Invece a migliaia furono deportati in campi di prigionia dall'altra parte dello sterminato stato sovietico, in Kazakistan. Lavorarono per mesi, addirittura per anni fra stenti e tribolazioni. Pochissimi tornarono a casa, malati e mutilati, con poca voglia di raccontare dove fossero stati e cosa avessero fatto dopo la ritirata. Di molti altri invece non si è saputo semplicemente nulla e nulla era rimasto ai familiari, a genitori che avevano visto partire i loro figli appena maggiorenni, a giovani spose rimaste per anni in attesa di riabbracciare il proprio caro. Fra loro anche centinaia di padovani dei quali non si ebbero più notizie.

La ricerca. A restituire almeno qualche scampolo di memoria e ad illuminare una pagina oscura della seconda guerra mondiale è il certosino lavoro d'archivio condotto da due giovani ricercatori e confluito nella mostra itinerante "La tragedia dimenticata" curata dal giornalista Rai Stefano Mensurati. Nel gulag kazako di Karaganda, un immenso campo di prigionia grande come la Lombardia e il Piemonte messi insieme, 2.500 chilometri a sud-est di Mosca, furono deportati gli sfortunati italiani di Crimea e insieme a loro migliaia di soldati italiani dell'Armir fatti prigionieri durante la disastrosa ritirata. Chi non venne ucciso in battaglia o non morì di stenti fra i ghiacci del Don dovette affrontare mesi di lavori forzati nel campo kazako. Pochissimi sopravvissero e fecero ritorno a casa, di molti altri invece non si seppe mai nulla. Erano semplicemente "dispersi in Russia". La lunga ricerca, resa possibile da Assopopolari e condotta da Heloisa Rojas Gomez e Dmytro Prosvietin sulle migliaia di schede conservate nell'archivio del gulag, ha permesso di far riemergere dall'oblio almeno mille nomi di soldati italiani. Fra loro anche una dozzina di padovani.

I padovani dispersi. È il caso di Luigi Mastella di Conselve, nato il 28 agosto 1920. Contadino, fu chiamato alle armi l'8 gennaio del 1941 e assegnato il giorno dopo all'80° Reggimento Fanteria, con il quale giunse con la 7^ Compagnia sul fronte russo in luglio. Venne dato per disperso in azione nel gennaio del 1942, in realtà fu catturato dalle truppe russe e internato nel "campo 56", dove morì il 30 aprile 1942 (secondo il foglio matricolare è morto nel marzo 1943). I familiari non ebbero alcuna notizia: il padre Antonio morì poco dopo la partenza del figlio, nella primavera del '41, mentre la mamma Angela due anni dopo, nel febbraio del 1943. I quattro fratelli di Luigi emigrarono tutti. Tre di loro, Marco, Mario e Agostino, si trasferirono in Alto Adige, ad Appiano, mentre il primogenito Giovanni cercò fortuna in Canada. Di quel fratello disperso in Russia non hanno mai saputo nulla, se non che era stato dichiarato morto. Dato per disperso sul Don anche Silvio Pietrobon di Loreggia, contadino, classe 1922, alpino del reggimento artiglierie alpina "Julia". In realtà venne catturato dall'Armata Rossa nel gennaio 1943 e internato in un ospedale dell’Uzbekistan, dove morì in seguito. Fece ritorno a casa invece Alfredo Raffagnato, nato a Monselice nel 1922, meccanico chiamato alle armi nel 1942 e tornato dalla prigionia solo alla fine del 1945, per poi trasferirsi a Bologna. Come lui si salvò anche Orazio Stelmi, di Bovolenta, mentre non si hanno notizie di Romeo Fabris di Teolo, di Pietro Zancanella di Legnaro e di Rosario Lincedrello, palermitano residente a Padova, tutti del 1922. Il più "anziano" era invece Beniamino Ferraretto, nato nel 1909. Contadino di Baone, nel 1939 si sposò con Gaetana e in seguito partì con il reggimento "Tagliamento" come fante della divisione Celere. Si sa solo che fu catturato a Certkova, trascorse un periodo in ospedale e arrivò al "lager 99" nel settembre del 1944. Le informazioni si fermano qui, non c'è data di morte.

Il lavoro continua. «Il potenziale di questa ricerca è enorme» spiega Stefano Mensurati «considerato che è stata analizzata sinora solo una piccola parte delle schede conservate nell'archivio del Gulag. Adesso stiamo cercando di ricostruire, non senza difficoltà, la storia di questi soldati, di contattare le famiglie, i parenti, per mettere insieme i tasselli di una storia troppo a lungo dimenticata». La mostra di Mensurati ha fatto tappa anche a Rovigo, all'Archivio di Stato, perché proprio dal Polesine sono venute parecchie informazioni.

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