I Maritan. Silvano, il capo in carcere dopo aver ucciso il rivale in amore e Luciano, il nipote guardiaparchi

Il 13 novembre 2016 "il presidente" aveva accoltellato il 53enne Alessandro Lovisetto dopo una colluttazione. Luciano invece aveva avuto l'incarico di vigilare sulle aree verdi dalla sindaca Zaccariotto
accusata di favoritismi e poi assolta

Lo zio

Il nome di Silvano Maritan è entrato anche in questa indagine, seppure sia rinchiuso in carcere da 4 anni per l’omicidio Lovisetto. Era la sera del 13 novembre 2016 quella che a San Donà resterà alla memoria per un terribile fatto di sangue. Dopo una violenta colluttazione, il boss da poco uscito dal carcere, proprio nel periodo in cui stava cercando di rialzarsi e costruirsi una nuova vita alla soglia dei 70 anni, aveva colpito a morte il 53enne Alessandro Lovisetto. Questi frequentava la sua ex compagna che aveva avuto precedentemente diversi scontri con Maritan anche per presunte somme di denaro prestate e non restituite. Quella sera i due dovevano parlarsi, ma l’intervento di Lovisetto a difesa della donna era stato fatale per lui.



Il più giovane e corpulento rivale in amore lo aveva colpito spingendolo a terra davanti a galleria Vidussi. Silvano, caduto sul marciapiedi e persi gli occhiali, si era faticosamente alzato in piedi e con un piccolo coltello che teneva in tasca, secondo la ricostruzione dei carabinieri, lo aveva colpito mortalmente al collo. Per Lovisetto non c'è stato nulla da fare. Era riuscito a camminare cercando di tamponare la ferita sul collo con la mano, ma il sangue usciva a fiotti vicino alla gola. Era crollato davanti al caffè letterario, al parco Agorà, morendo pochi minuti dopo che il suo destino era stato segnato con un colpo di lama.

Maritan che ha sempre sostenuto di essersi difeso dalla violenta aggressione, dopo aver trascorso in carcere una gran parte della sua vita, aveva cercato di disfarsi del coltello. Nel parapiglia, la pattuglia dei carabinieri giunta sul posto con il capo pattuglia Antonio Merla ha notato subito Maritan che camminava, ancora macchiato di sangue, ma senza alcun coltello in mano.

Se il carabiniere non lo avesse fermato e non avesse ritrovato poco dopo il coltello in un bidone, forse il boss sarebbe anche riuscito a dileguarsi. Invece sono scattate le indagini e il fermo, fino all'arresto e il processo che riportò Maritan in carcere.

Negli anni precedenti, dopo accuse e processi per fatti di droga, era riuscito a uscire, in libertà vigilata. Aveva soggiornato per un periodo in una comunità nella zona di Feltre, poi era riuscito a tornare nella sua città, il regno che dagli anni ’80 lo aveva visto imperversare nella Mala, in stretto collegamento con quella del Brenta di Felice Maniero con cui si misurava ad armi (quasi) pari. 

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Il nipote
 
È il nipote del boss che dello zio ha ereditato il carisma. Espressione da duro, fisico massiccio e istoriato dai tatuaggi, voce rauca e stentorea, Luciano Maritan, “Cianetto” per gli amici, è stato più volte accusato a più riprese di spaccio e, negli ultimi tempi, anche di estorsione. 
I riflettori si erano accesi su Luciano, figlio di Lino che poi è fratello di Silvano, ai tempi del famoso incarico di guardiaparchi assegnato dal Comune ai tempi retto da Francesca Zaccariotto. Maritan aveva già avuto più volte a che fare con la giustizia, ritenendo però di aver sempre pagato i suoi debiti con il carcere e di cercare una nuova vita. Per questo aveva cercato aiuto in Comune per una piccola mansione che lo aiutasse a rimettersi in sesto. 
L'ex sindaca di San Donà era accusata dunque di aver fatto scavalcare le graduatorie al nipote dell'ex boss per un posto come guardia parchi, tanto che la Procura aveva chiesto per lei due anni e 6 mesi. 
Ma il Tribunale, dopo un lungo processo l'ha infine assolta e con formula piena ritenendo che non avesse abusato del suo ruolo. Lo stesso Luciano dopo l'assoluzione aveva ribadito che la sindaca non aveva commesso alcun reato. L’assoluzione di Francesca Zaccariotto aveva fatto infatti seguito a quelle, due anni prima, dello stesso Luciano Maritan e di Eugenia Candosin, all’epoca funzionaria comunale a San Donà, che avevano scelto di farsi processare con rito abbreviato. 
 
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Dopo un periodo di relativa tranquillità in cui ha chiesto meno clamore mediatico sulla sua figura, alla ricerca di una vita normale seppure tra mille difficoltà, sono arrivati nuovi guai per Luciano che la scorsa settimana in Tribunale, con rito abbreviato, era stato condannato a 3 anni e 2 mesi per una tentata estorsione nel 2018 nei confronti di due suoi clienti, ai quali aveva ceduto della droga. Secondo lui erano colpevoli di averlo denunciato dichiarando che era il loro fornitore di droga. In realtà i carabinieri avevano setacciato messaggi e telefonate, convocando in caserma i due i quali si erano limitati a confermare il fatto, ovvero che Maritan aveva dato loro alcune dosi. Lui, arrabbiato, li aveva accusati di volerlo mandare in prigione, chiedendo i soldi per saldare le sue spese legali. Non proprio minacce, ma frasi sibilline che la procura ha qualificato nella cornice della tentata estorsione. —
 


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