I problemi del Brenta affrontati alla foce invece che alla sorgente

t. caro, 4^BSA
Parliamo di 174 chilometri d’acqua che attraversano da secoli quasi tutto il Veneto e buona parte del Trentino.
Il Brenta è sotto gli occhi di tutti eppure nessuno (o quasi) sembra voler vedere i numerosi problemi di un fiume che è tra i più importanti e lunghi della nostra penisola. Il corso d’acqua infatti, che comincia il suo tragitto dai laghi di Levico e Caldonazzo, sembrerebbe presentare un alto livello di inquinamento, tale che in alcuni comuni si è arrivati addirittura a vietarne la balneazione.
Ma le soluzioni dei governanti, spesso, si fermano qui e piuttosto che affrontare il problema alla sorgente si preferisce intervenire sulla foce. Recentemente, però, non solo la Regione ha prestato poca attenzione alle condizioni del fiume bensì, anche se sollecitata da numerose segnalazioni, ha ritenuto opportuno non intervenire sulla questione.
Già nel 2008 il consigliere regionale leghista Nicola Finco criticava la scelta di edificare una zona pedonale a duecento metri di distanza da un argine che l’istituto Arpav giudicava: «costituito da materiali di risulta quali frammenti di varie pezzature, scarti di attività edile di demolizione, ma anche plastica, metallo e frammenti di cemento amianto».
La segnalazione del consigliere Finco era stata inoltrata al comune di Bassano Del Grappa, ma due anni dopo si era deciso comunque di non intervenire sull’argine inquinato. Negli ultimi anni le promesse della Regione parlavano di un maggiore monitoraggio del fiume e, se fosse stato necessario, di interventi concreti. Nonostante i presupposti, 9 anni dopo la situazione non sembra essere cambiata, tanto che le lamentele dei rappresentanti Grillini dei comuni di Bassano, Cartigliano, Rosà e Tezze sul Brenta hanno smesso di essere tali e sono diventate delle vere e proprie accuse analizzate dalla Procura di Vicenza. Il caso era nato da alcune avvertenze della popolazione riguardanti la presenza di ogni sorta di rifiuto che affiorava sull’acqua. Le seguenti rilevazioni hanno dimostrato che il fiume, in quel tratto, era molto inquinato e presentava tracce di metalli pesanti ben sopra la media. Oltre che ai sindaci dei comuni l’accusa era stata rivolta anche all’ente Etra, mettendo in discussione l’efficienza del suo depuratore.
La difesa ha replicato chiedendo una dimostrazione da parte dell’accusa, ma già i dati dell’anno precedente rilevati dall’ente stesso avevano posto in rilievo questo tipo di problema. Nel solo 2017 però i casi non si fermarono qui. Verso la Regione infatti, il sindaco di Asiago, Roberto Rigoni Stern, aveva espresso il proprio disappunto per la mancanza di controlli, seppur costantemente richiesti nei tre anni precedenti, riguardo la zona dell’ex discarica del Melagon che continua tutt’oggi ad inquinare le falde della zona dei Sette Comuni.
Nel padovano invece, dopo che nelle acque dei comuni di Cittadella, Fontaniva e Tezze sul Brenta erano state trovate delle tracce di cromo esavalente (metallo particolarmente nocivo), la Regione aveva promesso una piattaforma web dove avrebbe tenuto informati i suoi cittadini. Ad oggi della piattaforma non vi è traccia. Cosi come non è apparsa traccia di un minimo interesse verso la tutela di un fiume, patrimonio di flora e fauna locali, che bersagliato dai rifiuti di 43 discariche nel solo Vicentino (dati Legambiente) rischia di diventare vittima della poca sensibilità delle persone.
Giovanni Gelain
Giacomo Mezzalira
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova