I suoni spaziali di Tolo Marton

“Stage List”: cover e brani originali nel nuovo disco fatto (quasi) in casa
Di Michele Bugliari

Il trevigiano Tolo Marton è uno dei chitarristi italiani più stimati a livello internazionale. Ha realizzato un nuovo cd, “Stage List”, nel quale suona con Andrea De Marchi (batteria), Alex Marinoni (basso), Walter Del Farra (basso) e Fabio Storti (batteria).

Come è nato il progetto di “Stage List”?

«Il disco contiene 16 brani tratti dal mio repertorio dal vivo degli ultimi due anni, ci sono brani miei ma anche cover. Ho scelto i brani tra quelli di maggior impatto e quelli che non capita di sentire spesso ma che fanno parte delle mie passioni oltre che del mio repertorio».

Tra le cover spicca “God only knows” dei Beach Boys.

«Dal vivo lo faccio come l’originale, mentre per il disco ho realizzato una versione molto diversa».

Quale è il suo approccio nel costruire un nuovo arrangiamento per un brano famoso?

«Quando ci si trova di fronte a una canzone bella e importante, credo sia necessario rispettarne la melodia e gli accordi. Quello che si può cambiare sono il mood e i suoni. L’atmosfera può diventare più aggressiva, il brano può diventare più lungo e si può dare anche più importanza a certe note rispetto alle altre, però la melodia e l’armonia non devono essere stravolte. “God only knows” l’ho resa più psichedelica e rotolante. “Theme for young lovers”, invece, che come tutte le canzoni degli Shadows è caratterizzata dal suono pulito della chitarra elettrica, l’ho trasformato in un brano dai toni hard rock».

Anche alcune sue canzoni presentano una veste musicale diversa.

«“I don’t wanna be alone” è tornato all’arrangiamento originale del 1980, un po’ alla B.B. King perché non l’avevo mai registrata così su disco. Per “Alpine Valley” ho scelto di realizzarne una versione più breve e soft dell’originale».

Su “Stage List” lei suona molto bene anche il basso.

«Quando ho cominciato a suonare da giovane, mi registravo suonando anche le parti di basso. Ancora oggi, quando ascolto una canzone la prima cosa a cui presto attenzione è il basso».

Il suo nuovo disco ha un suono tridimensionale, eppure lei sostiene di averlo registrato in modo spartano.

«Io penso che il suono ce l’hai nella tua testa e lavori fino quando non ottieni quel risultato, sia che tu abbia uno studio da un milione di euro o un sistema da 500 euro. Ho iniziato il disco nello studio di Andrea De Marchi che è il batterista che suona con me da anni. Io e lui abbiamo suonato una chitarra ritmica e una batteria per ogni brano e per alcune canzoni anche la chitarra solista. Alcuni di questi brani sono stati registrati solo con chitarra, basso e una batteria. Altri sono stati realizzati con delle sovraincisioni che ho realizzato a casa con un registratore economico, aggiungendo le voci, altre parti di chitarra, basso e tastiere. Quando ho mixato tutto sono riuscito a ottenere quel suono spaziale e grintoso che volevo. Mi era già successo di avere soddisfazione con un altro disco registrato in casa, “One guitar band” nel 1983. A volte è più facile lavorare da soli senza intermediazioni».

Progetti futuri?

«Ho un nuovo progetto con Marco Caudai, basso, e Luca Capitani, batteria. Suoneremo il 24 aprile al club Al Giardino di Lugagnano di Verona, il 25 al Mattorosso di Montebelluna e il 26 all’aperto vicino alla biblioteca di Preganziol. Rifarò il corso “Per un pugno di note” quattro appuntamenti, nei quattro martedì di maggio dal 6 al 27, a Villa Pozzi, Mestre, dalle 19.30 alle 21 e 30. Continuerò a suonare in Germania con il mio gruppo. Poi, con il bassista dei Deep Purple Roger Glover potrebbero esserci delle date in autunno».

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