Il carattere della tipografia Nuovo Rinascimento digitale

di Daniele Ferrazza
Testo, carattere, inchiostro, carta e legatura. Giovanni Mardersteig, uno dei più grandi stampatori europei – nato a Weimar, morto a Verona – declinava in questi cinque elementi l’ambizione più grande: «Comporre con questi cinque elementi un insieme coerente e plausibile, non sottoposto alla moda, il cui pregio sia stabile e non legato al tempo».
Nell’era del digitale, solo un manipolo di folli può decidere di investire tempo e denaro in una serie di monografie dedicate al carattere e alla tipografia, inseguendo la stessa ambizione. Una sorta di Micromega della tipografia, da Bodoni al Times New Roman. Invece no: esattamente come la televisione non ha ucciso la radio, che infatti vive una seconda giovinezza, così è per l’arte del carattere e la tipografia, che stanno attraversando un nuovo Rinascimento proprio grazie alla rivoluzione digitale. Ed è solo l’inizio: perché in Italia, culla della civiltà carattere (a partire dai romani), c’è moltissimo da fare in questo campo.
Quasi a metà strada Feltre e Venezia, in una ex chiesa intitolata a Santa Teresa adiacente al complesso industriale dell’ex Canapificio Veneto Antonini-Ceresa, la Tipoteca Italiana è ormai il punto di riferimento europeo per questo mondo straordinario e tutt’altro che sconfitto dalla tecnica digitale. Tra vecchie macchine da stampa, un archivio di caratteri mobili, ampolle di inchiostro, torchi a leva, fonditrici e una fornitissima biblioteca di cinquecentine e ottocenteschi volumi si possono fare curiosi incontri: vi si aggirano attempate coppie di turisti americani, giovani grafici milanesi che vengono ad «abbeverarsi», pragmatici creativi tedeschi in cerca di approfondimenti, affascinate scolaresche attirate dai rudimenti della tipografia. Un posto che soltanto il Veneto colpevolmente ignora.
Letteralmente un mondo a parte. Se il guru di questo luogo è il grafico Sandro Berra, autentico custode della Tipoteca, il mahatma è sicuramente Silvio Antiga, che nel 1994 ha avuto l’ispirazione di raccogliere macchine da stampa da mezza Europa. Ed oggi può finalmente raccogliere i frutti di questo paziente e certosino lavoro di ricerca.
Ora questo luogo che sprigiona ancora il rumore delle macchine tipografiche e l’odore d’inchiostro appena steso ha deciso di far propria «Tipoitalia», praticamente l’unica rivista di tipografia rimasta, inventata nel 2008 dal grafico brasiliano, trapiantato a Treviso, Claudio Rocha. La rivista sarà presentata stasera, durante un incontro al quale saranno presenti lo storico inglese James Clough, l’artista Lucio Passerini e Chiara Medioli di Fedrigoni. È dedicata alle forme e alle lettere del Novecento ed è un’agile passeggiata tra i nomi che hanno fatto grande la tipografia italiana: da Alessandro Butti a Carlo Frassinelli, da Aldo Novarese allo studio Nebiolo. «Il digitale ha sdoganato il carattere – spiega Sandro Berra – lo ha in qualche modo democratizzato, reso disponibile a tutti. Quel che tutti non sanno, ancora, è che dietro a ogni carattere c’è uno studio, un approfondimento e una ricerca straordinari. Un alfabeto completo può contenere fino a 800 segni. Manca la consapevolezza del loro valore e del lavoro che c’è dietro». Per questo la Tipoteca aspira ad essere luogo, oltre che approfondimento, anche di stimolo a «mettere un po’ d’ordine» nella giungla dei caratteri.
L’eleganza dei . nizioleti veneziani fa il paio con la chiarezza delle indicazioni della metropolitana di New York disegnate da Massimo Vignelli, non con la babele che incontriamo nella segnaletica stradale e nelle insegne commerciali, soprattutto dell’ultimo mezzo secolo. Per questo sarebbe bello che, proprio dal Veneto, partisse un progetto di riordino usando il sapere della Tipoteca di Cornuda.
La scelta di un font, a seconda dell’uso che ne viene richiesto, non va mai lasciata al caso. Non vale allo stesso modo se serve per scrivere un curriculum o una relazione economica. Il carattere «trasmette» emozioni, aggiunge o toglie a seconda dell’appropriatezza. Steve Jobs, che non era l’ultimo arrivato, decise di pagare 5 milioni di dollari per comprare il carattere Zapfino, usato in tutto il mondo. Il digitale ha reso disponibile e immateriale una mole infinita di font: ne esistono 250 mila, il più diffuso dei quali è il Times New Roman, a conferma della culla latina dei caratteri. Mentre quello che avete letto finora è un font Utopia, corpo 9.
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