Il Centro Ingrosso Cina apre le porte alla Finanza: "Un ufficio qui"

Allegra e Berica Marchiorello: «Venite, controllare e chiudete i negozi irregolari». Dal 2014 la Finleb srl è iscritta alla ConfApi, assunto un tutor per le ditte cinesi
BARON - CENTRO INGROSSO CINA
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PADOVA. «Se il titolare di un box vende giocattoli tossici ed è scoperto e multato, ma dopo un paio di giorni riapre con altri giocattoli proibiti, a cosa serve? Guardi che anch'io sono mamma. Ho quattro figli. Crede che mi piaccia che qualche furbo faccia i propri interessi sulla pelle degli altri? Ecco, lanciamo una proposta. Siamo disposte a concedere in uso gratuito a finanza, polizia o carabinieri un ufficio all'interno del centro, in modo che con la loro presenza i controlli siano costanti, continui, asfissianti. Noi siamo disposti a fare la nostra parte. Anche a dire chi sgarra e chi no. Alla Finanza diciamo: lavoriamo insieme». Dopo l'invasione, la rivoluzione. Il Centro Ingrosso Cina apre le porte alla città. Alle istituzioni. Chi parla è Allegra Marchiorello, figlia di Enrico, una delle tre donne che gestiscono i rapporti con i commercianti cinesi di corso Stati Uniti 1, attraverso la Finleb srl di cui è socia diretta o attraverso altre società.

Allegra, spiega, parla, gesticola, si alza dalla sedia, cammina per la stanza. A fianco c'è la zia Maria Berica e Sandro Mattiazzi, loro dipendente. L'ufficio della Finleb (da qualche mese iscritta alla ConfApi di Padova) è al primo piano, sopra uno dei fabbricati ricostruiti sull'area dove in passato c'erano le Officine Meccaniche della Stanga, azienda che prosperò grazie al capostipite, Dino Marchiorello. Maria Berica e Allegra si sentono sotto assedio. Da una parte i commercianti cinesi: un mondo e un modo di lavorare con cui le Marchiorello hanno imparato a fare i conti. Dall'altra l'autorità precostituita: forze dell'ordine, associazioni di categoria, magistratura. Dopo la chiusura coatta ordinata dal prefetto nei primi mesi del 2013 molto è cambiato all'interno del centro, ma nulla è cambiato per quanto riguarda la percezione di quello che c'è all'interno del Cina Ingross. I rapporti che arrivano sui tavoli in procura dopo i blitz raccontano sempre le stesse cose: parlano di attività illecite, di vendite senza scontrini, di lavoro nero. E pazienza che riguardino l’altra parte di ingrosso che con Finleb non c’entra. L'Ascom è ancora più dura: dice sia un buco nero dove l'illecito è assurto a regola.

Percezione che secondo la famiglia Marchiorello non corrisponde alla verità. «Siamo qui e ci mettiamo la faccia» riprende Allegra. «E non abbiamo alcuna intenzione di mollare, dopo la fatica e i soldi investiti per rimettere a norma la struttura» aggiunge Maria Berica. Entrambe parlano di circa due milioni di euro spesi per impianti elettrici, antincendio e corsi per la sicurezza. Di mutui per due milioni all'anno e quattrocentomila euro di tasse pagate dalla Finleb. Di altri due milioni per sanare il cambio di destinazione d'uso (da area artigianale a commercio all'ingrosso, possibile senza cambiare il prg). Di rabbia, fatica e orgoglio per un investimento che avrebbe dovuto andare da tutt'altra parte. Per riconvertire un'area che stava morendo (e che frutta circa 900 mila euro all’anno dal 2008). «Noi, il Comune e tutti i padovani abbiamo avuto una grande fortuna» racconta Maria Berica «E cioè che il commercio cinese abbia scelto questa città come snodo per fare affari. Si tratta di una opportunità da cogliere al volo. Senza i cinesi quest'area sarebbe un nuovo ex foro boario. Questo è l'ultimo treno per garantire crescita a tutto il territorio. L'importante è governare questa crescita. Per questo diciamo: facciamolo insieme».

Al piano terra è tutto un via vai di auto e furgoni: l'80 per cento dell'attività del Centro Cina riguarda l'abbigliamento. Poi ci sono i giocattoli, la cartoleria e la bigiotteria. I commercianti cinesi hanno tutti un soprannome italiano: Simone, Marco, Fabio. Salutano, sorridono, si informano. I corridoi sono sgombri, essenziali. Attaccate alle pareti mappe con i nomi delle società titolari dei vari box. All'interno di ognuno di questi, commercianti di tutte le nazionalità guardano, toccano, contrattano. All'ingrosso cinese di corso Stati Uniti arrivano da tutto il nord Italia, ma anche dai paesi dell'Est: rumeni, ungheresi, croati, sloveni arrivano per acquistare merce da rivendere nei propri paesi. Ma anche austriaci e tedeschi. Un flusso di merci e denaro ormai inarrestabile. Flusso spesso difficile da tracciare.

Ma per le Marchiorello non è così. Da qualche tempo hanno convinto il titolare del contratto d'affitto cinese (che a sua volta subaffitta i singoli box alle varie ditte) ad assumere un cittadino italiano perché svolga l’attività amministrativa, spesso ignorata dai commercianti. Raffaele Zanellato smista, invia raccomandate, aiuta i titolari dei box a pagare bollette e tenere in ordine i conti, organizza corsi per la sicurezza. «Siamo state accusate di essere conniventi perché pur avendo inserito clausole rescissorie nei contratti per gravi inadempienze non cacciamo i cattivi commercianti», replica Allegra. «I nostri legali ci hanno spiegato che non abbiamo l'autorità per farlo nonostante i contratti. Sopratuttto se i commercianti sono in regola con gli affitti».

Visto da dentro, infatti, Centro Ingrosso Cina (da non confondere con il Centro Ingrosso Padova di proprietà della Binario, società riconducibile a un architetto torinese, Domenico Rosso, che venne pagato dai Marchiorello con alcuni padiglioni in cambio della contruzione di tutti i fabbricati e oggetto degli ultimi blitz da parte delle forze dell’ordine) non sembra proprio quello che descrivono le carte. Eppure qualcosa che non va c’è. A partire dagli ambulanti, che nessuno vuole. Un “qualcosa” che le famiglia Marchiorello ha deciso di cancellare per sfruttare nuove opportunità.

«Nel 2008 avevamo deciso di creare un polo dell'auto al posto delle Officine meccaniche visto la crisi che aveva travolto il sistema ferroviario», racconta Maria Berica. «Altro che centro cinese. Eravamo contrarie a ospitarli. All'inizio aderirono al progetto la Trivellato e la Honda. Poi, nonostante avessimo chiesto a tutte le concessionarie della zona, restammo con tanti padiglioni vuoti. Poi arrivò un commerciante all'ingrosso di pelli. Cinese. Quando Trivellato e Honda mollarono, il commerciante ci disse che aveva altre persone interessate. Così iniziò l'avventura del Centro Ingrosso Cina».

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