Il chiostro cade a pezzi allarme per l’abbazia

di Daniele Ferrazza
Una fessura lunga alcuni metri che risale sulla parete dell’abside della chiesa; appariscenti crepe nella foresteria, inagibile da diverso tempo; lo scalone di accesso sbarrato da due rudimentali transenne. Ma è soprattutto il prezioso chiostro che sembra vacillare sotto il peso dei suoi otto secoli. Le colonne appaiono inclinate una sull’altra, il pavimento vistosamente sconnesso, le pietre scavate dall’acqua che fatica a defluire.
L’abbazia di Santa Maria di Follina non sta crollando. Ma lentamente si sbriciola, dimenticata dalla memoria collettiva nonostante sia tutt’oggi puntuale crocevia di un fenomeno di devozione popolare che si tramanda da quasi mille anni: dall’Alpago, soprattutto, ma anche dal Pordenonese e dalle Venezie Orientali. E naturalmente da quella Valsana (. Sana Vallis) così chiamata dai primi monaci che vi si insediarono sui resti di un castrum a metà del XII secolo.
In questo paesino a cavallo tra le province di Treviso e Belluno, piccola capitale della lavorazione della lana grazie al prezioso contributo dell’acqua del Soligo, arrivano pellegrini da mezzo Veneto: pregano davanti alla misteriosa statua lapidea della Madonna con bambino (datata al VI secolo) che proviene dalla egiziana regione della Nubia.
Padre Gildo Zordan, 85 anni, custode di questi luoghi, sfiora le colonne come fossero guance di un fanciullo: «C’è tutta la simbologia biblica in questo chiostro. La luce, che proviene dal cielo; l’acqua che zampilla dalla fontana; la terra, rappresentata dal quadrato sul pavimento. Da cui nascono quattro vie d’acqua, come nella Genesi, che danno fertilità alla terra e piante». Posando lo sguardo, effettivamente, le 36 colonne del chiostro - tutte di diversa architettura, alcune vittime di rifacimenti ottocenteschi - rappresentano altrettante piante che crescono dalle radici fino al cielo.
Sorella minore di Chiaravalle, insediata dai benedettini prima, dai cistercensi poi e dai camaldolesi fino al 1820, l’Abbazia di Follina è attualmente abitata dagli ultimi tre padri dei Servi di Maria - che gestiscono anche la parrocchia -: l’Ordine l’ha riacquistata dopo che per un secolo, tra Napoleone e la prima guerra mondiale, fu prima requisita e poi praticamente venduta alle famiglie del posto che la adattarono alle loro esigenze.
Nella navata sinistra, un affresco di San Tommaso d’Aquino è attribuito a Tommaso da Modena. In sacrestia una pietra registra il passaggio di San Carlo Borromeo, all’epoca abate commendatario («Qui si lavò le mani San Carlo»). Negli ultimi anni della sua vita vi trascorse alcuni periodi anche padre David Maria Turoldo, una delle coscienze critiche della Chiesa contemporanea, cui Follina dedicò una mostra pochi anni fa.
Presto inizieranno i lavori di restauro della scala di San Carlo, che proprio il Santo di Arona impose di realizzare per dare alla chiesa una quinta scenografica più appropriata: ma lo scalone è solo il primo passo di un progetto più complessivo che l’architetto Fabio Nassuato di Vittorio Veneto sta iniziando a predisporre e per il quale è iniziato nei giorni scorsi un rilievo generale di tutto il complesso abbaziale, forse il più accurato e preciso da molti anni a questa parte.
Bisognerà anche mettere ordine tra i mappali catastali, che riportano proprietà del Demanio pubblico, del Comune di Follina, dell’Ordine monastico e della Diocesi di Vittorio Veneto. Ma è tutto il resto che preoccupa e al tempo stesso offre una straordinaria occasione: ci vorranno molti soldi e molte preghiere, ma l’impresa non è impossibile.
L’abbazia di Follina, in quasi mille anni di storia, ha superato carestie, pestilenze e due guerre mondiali, sopravvissuta alla Repubblica Veneta e vinto gli editti di Napoleone. Facendo tesoro delle sventure: durante la prima guerra mondiale, una granata sventrò l’altare della chiesa, ma sotto il cratere spuntarono i resti di una basilica bizantina del VI secolo e di un castrum romano, che diedero nuovi impulsi agli studi scientifici.
Il chiostro bisognoso di aiuto dell’abbazia di Follina, insomma, può diventare una grande occasione di rilancio.
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