Il fondatore della Liga Veneta volontario alla mensa dei poveri

Achille Tramarin “il buonista” una volta al mese cucina e serve il pranzo a italiani e immigrati Di Zaia dice: «Poche cose fatte sopra una montagna di chiacchiere». E di Salvini: «Va dove tira il vento»
Di Renzo Mazzaro
BARSOTTI - TOSI AL CONVEGNO DEI MEDICI
BARSOTTI - TOSI AL CONVEGNO DEI MEDICI

Grazie alla Lega i veneti sono conosciuti in Italia come razzisti, egoisti, incapaci di solidarietà. «Tutto a noi e se avanza qualcosa agli altri, ma non avanzerà niente», predicava Giancarlo Gentilini. “Prima il Veneto”, è stato lo slogan di Luca Zaia, ben inserito in questa linea. È vero che nel 2010 Zaia è stato eletto con il 60% dei voti, segno che il consenso andava molto al di là dello zoccolo duro leghista. Ma l’etichetta è rimasta. È ora di ribaltarla: facciamo sapere all’Italia che il fondatore della Liga Veneta fa il volontario nelle cucine per preparare il pranzo della domenica agli extracomunitari. E non perché è un leghista pentito. «Io ho sempre pensato così. Sono un buonista, cattolico praticante e non me ne vergogno», dice Achille Tramarin, 68 anni, l’uomo che ha tenuto a battesimo la Liga Veneta nella prima assemblea a Recoaro, il 9 dicembre 1979. Era tra i 15 firmatari dello statuto dal notaio Todeschini di Padova, fu il primo segretario del partito e il primo eletto alla Camera nel 1983. Fino al baruffone con Franco Rocchetta e alla scissione.

Tramarin, perché si definisce buonista?

«Buonisti sono quei cattolici, secondo l’opinione di un Galli Della Loggia o di un Panebianco, che vogliono fare i buoni a tutti i costi, anche se le circostanze non lo giustificano del tutto».

Lo dice anche Salvini.

«Salvini ripete, non elabora concetti propri. Tra quelli che vengono a mangiare da noi, per esempio, ce ne sono che fanno i furbi: non ne avrebbero bisogno. Ma vai a chiedergli i documenti?».

Come fa a sapere che non ne avrebbero bisogno?

«Li vedi viaggiare in auto. Li trovi a fare la spesa al supermercato. Ma come si fa a dire di no? Se ti chiedono un aiuto, glielo dai».

Lei non sta parlando di immigrati…

«No».

Italiani, dunque, veneti. Uomo bianco, viso pallido.

«Sì, caucasico. Può trattarsi di sfortunati, tipo separati o divorziati, costretti a vivere in macchina. Noi non domandiamo niente. Dare una mano è un dovere morale. Io lo faccio molto volentieri, mi sento gratificato. C’è la speranza che qualcosa resti ma non mi aspetto di ricevere un grazie».

In concreto come funziona?

«Noi subentriamo alla domenica alle Cucine Popolari di suor Lia, un’istituzione per la città. La Caritas ne ha fatto un fiore all’occhiello, la Curia dà un sostegno, il Comune paga le bollette. Zanonato la faceva, penso lo faccia anche Bitonci».

Bitonci ha fatto dei sopralluoghi, di recente.

«Voleva vedere se c’erano delinquenti che facevano la fila. Ci è andato due o tre volte, poi ha lasciato perdere. Come fai a stabilire se in fila c’è un delinquente?».

Ci vuole Lombroso.

«Appunto. Le Cucine Popolari preparano anche 600 pranzi a mezzogiorno e 400 alla sera. Chi può dà 2 euro, altrimenti niente. L’anno scorso gli stranieri erano diminuiti, ora sono tornati a essere maggioranza. Noi accogliamo tutti».

Voi chi?

«Cinque o sei parrocchie del centro storico si turnano alla domenica per offrire il pranzo gratuito. Noi del Sacro Cuore subentriamo alla quarta del mese. Abbiamo un numero fisso di iscritti, ma prepariamo sempre di più: quello che avanza se lo portano via in un cestino».

Dove preparate?

«Nel patronato, usiamo i tavoli della sagra. Serviamo antipasto, primo, secondo, contorni, dolce e caffè al bar. C’è sempre una famiglia che prepara una pentola di ragù. Il maiale è escluso, perché possono esserci dei musulmani. Niente vino, perché è capitato qualche alcolista e basta un goccio per farlo partire».

Chi paga le vettovaglie?

«Le offerte dei parrocchiani. Tutto il resto è volontariato. Lo facciamo da 16 anni. All’inizio il parroco chiedeva di preparare il pranzo doppio e di venire a consumarlo in parrocchia, dividendolo con altre due o tre persone. Poi questa modalità è andata esaurendosi. Ha tenuto botta invece il cuoco, Vittorio Zaggia, l’anima di questa attività parrocchiale. Ha cominciato a preparare il pranzo libero, raccogliendo le offerte, comprando, cucinando e servendo. Poi è intervenuta la Caritas. Adesso abbiamo clienti fissi che chiedono di venire al Sacro Cuore perché sanno che si mangia bene».

Il suo ruolo qual è?

«Alle nove di mattina mia moglie e io ci presentiamo in cucina. Io metto il grembiule e comincio a pelare patate, mia moglie fa qualcosa di più serio, poi arrivano gli altri. Siamo una decina, più i giovanotti per spostare i tavoli, che pesano. Una signora viene dopo mezzogiorno solo per lavare le pentole. Se c’è bisogno di rinforzi basta una telefonata per far arrivare altri volontari. Tutti restano seduti, noi portiamo le vivande, se vogliono anche il bis. Mangiamo con loro. Scambiamo qualche parola».

In che lingua?

«In rumeno, anche. Io mi sono laureato con Folena e Cortelazzo, che curavano per la Fondazione Cini l’atlante linguistico del Mediterraneo. Ho preparato la tesi passando tre inverni consecutivi in Romania, dal ’70 al ’72. Avevo una borsa di studio, partivo il 1° novembre e tornavo il 31 marzo. Erano i tempi di Ceausescu. Terribili. Da quando si sono accorti che parlo rumeno, stanno più volentieri a conversare. Si sentono accolti».

Ci sono solo rumeni?

«La maggioranza sono moldavi e rumeni. Poi marocchini, nigeriani, albanesi, qualche tunisino».

Come poteva questa mentalità solidaristica andare d’accordo con la militanza nella Lega?

«Io non ho mai avuto niente da recriminare contro i meridionali».

Non dirà che tutti i leghisti erano come lei.

«La Lega parte come antimeridionale ma io non lo ero e neanche Franco Rocchetta lo è mai stato. Dei 15 firmatari soci fondatori, solo due o tre erano dichiaratamente antimeridionali. Ma non esprimevano l’idea ufficiale del movimento».

Com’è che poi siete arrivati al "Forza Etna"?

«Quelli che si avvicinavano alla Liga erano soprattutto antimeridionali e di destra».

Questo non la disturbava?

«Mi disturbava, eccome. Difatti parecchi premevano su Rocchetta perché non facessi il segretario».

E Rocchetta?

«Dava ragione ai miei detrattori, ma non davanti a me. Però poco alla volta mi ha fatto il vuoto attorno. D’altra parte io non potevo avere rapporti di amicizia con certa gente. In lista a Vicenza erano andati due di Terza Posizione. Il giorno del mio matrimonio, il 25 aprile 1981, era stato arrestato Andrea Vian, un leghista che faceva il palo nelle rapine alle gioiellerie di Treviso della banda Cavallini per autofinanziarsi. La questura mi fece sapere che potevo partire per il viaggio di nozze, ma al ritorno dovevo passare a spiegare che rapporti avevo con Vian».

Ha chiuso con la politica?

«Sono iscritto al Pd e nonostante gli scandali non intendo abbandonarlo. Mi pare l’unica speranza, se solo riuscisse a superare le divisioni tra ex Ds ed ex Margherita».

Sa che anche Rocchetta ha votato alle primarie del Pd?

«Sono contrarissimo alle primarie aperte. Dovrebbero votare solo gli iscritti da almeno un anno e se sono primarie di coalizione gli iscritti ai partiti della coalizione».

La Moretti ce la farà?

«Potrebbe. Ha le carte in regola».

Come vede Luca Zaia?

«Un mucchietto di cose fatte sopra una montagna di chiacchiere».

E Flavio Tosi?

«Ha una base molto più solida di quella di Comencini all’epoca della scissione, per non dire della mia. Ma non è un leghista. Non ha mai creduto nel Veneto. Viene dall’estrema destra, la sua formazione è italianista»

Salvini?

«Si piazza dove tira il vento. Non ha niente di lombardo, a parte l’accento».

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