«Il mio Veneto, provincia felice»

L’attrice e regista discuterà di cinema con Villoresi e Leotti

di Alessandra Lionello

VENEZIA

«Il Veneto che metterei in un film? Quello di quand’ero ragazza, una provincia felice».

Simona Izzo, doppiatrice e attrice, sceneggiatrice e regista, sarà a Chioggia, questa sera (sala Kursaal, ore 21, con ingresso libero) ospite del Fondaco, per parlare di cinema e del suo rapporto con la realtà, insieme all’attrice Pamela Villoresi e allo sceneggiatore Antonio Leotti. La Izzo, che non si vede di frequente in Veneto, ama ricordare un’estate trascorsa a Treviso quando era poco più che adolescente.

«E’ stata una delle estati più belle della mia vita – racconta – ricordo la città come una piccola perla e così la provincia. Questa è l’ambientazione che sceglierei se dovessi girare un film in Veneto, non credo sarebbe utile rappresentare oggi le tensioni ideologiche e lo scontento attuale».

Eppure il cinema sta dimostrando interesse per le aspirazioni separatiste di certo Veneto e per il disagio di una parte di quel nord-est produttivo, ormai orfano del miracolo economico, che si avvita intorno alla convinzione frustrante di essere l’unico a tirare la carretta.

«Non stigmatizzerei il Veneto per questo – commenta la Izzo – lo trovo ingiusto e poco realistico. Non si tratta di un fenomeno esclusivo. Le contraddizioni, così come il malessere giovanile, ci sono ovunque. Credo che serva un tempo di decantazione prima di azionare la macchina da presa».

Non certo per disinteresse verso la realtà, che la Izzo ha affrontato in film come «La scorta», ispirato alla vicenda del giudice Borsellino, «Ultrà», «Vite strozzate» sulla piaga dell’usura, ma perché, dice, «per raccontare le ore inquiete occorre storicizzare. Un film ha bisogno di tempo, non ho la passione dell’instant movie».

Eppure l’inquietudine pare sia una grande fonte d’ispirazione e un pungolo che funziona per attivare la creatività.

«Io parto sempre da me stessa – dice – e dalle mie ore inquiete, che sono tante, praticamente tutte! I miei film, anche le commedie, nascono dal bisogno di esplorare delle inquietudini, personali o sociali, come i disastri delle famiglie allargate, o come il disorientamento che assale chi, dopo una vita di lavoro, va in pensione e non si riconosce più».

E il disagio giovanile? La disoccupazione, la mancanza di prospettive, il rischio dell’apatia? «Io faccio fatica a raccontare i giovani, li sento lontani. Il cinema è anagrafico, e i giovani devono raccontarli i giovani. Io spero solo che continuino ad andare al cinema».

E ricorda che già Verlain diceva che il cinema non morirà mai perché non potremo rinunciare a vederci vivere.

«Bello, e vero, ma il rischio è che intanto muoiano le sale cinematografiche! Per i costi elevati e per l’abitudine a vedere i film in tv o nel pc».

Anche questo è un dato che arriva dalla realtà: il cinema sta soffrendo. E il Veneto, a giudicare dai dati sull’affluenza nelle sale, pare una regione particolarmente difficile da conquistare.

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