Il papà di Luca Tacchetto: "L'ipotesi più probabile è che siano stati rapiti"

VIGONZA. VIGONZA. Una terribile notizia ha fatto tremare giovedì mattina Nunzio Tacchetto e la sua famiglia, da oltre un mese in ansia per il figlio Luca e l’amica canadese Edith Blais, scomparsi proprio nel Burkina Faso lo scorso 15 dicembre. Sono stati infatti informati del ritrovamento del corpo di un uomo bianco ucciso a colpi di arma da fuoco nel nord del Paese, solo dopo alcune ore si è saputo che si tratta di Kirk Woodman, dipendente di una società mineraria sequestrato martedì scorso da un gruppo armato. Di Luca Tacchetto ed Edith Blais non si è neppure certi se di sequestro si tratta. Sono semplicemente scomparsi.

Ingegner Tacchetto, aveva discusso con Luca dell’eventualità di un sequestro? «No, più che la possibilità di un sequestro a noi preoccupavano la lunghezza del viaggio e la sua pericolosità naturale. Se ci fosse stato rischio non sarebbe andato. Attraversare il deserto con un’auto normale è veramente una bella esperienza anche se rischiosa, perché non c’è nulla per chilometri. Lui era attrezzato, aveva tutti i pezzi di ricambio essenziali, 4 gomme di scorta, cinghie, manicotti... Aveva doppia scorta di acqua e di benzina, si era preparato la macchina da un anno».
E il rischio terrorismo?
«Dove doveva transitare Luca non ci sono zone pericolose. L’itinerario è lo stesso percorso da molte altre persone che raggiungono via terra il Togo per lavorare al progetto umanitario e lo percorrono 3-4 volte all’anno».
Potrebbe aver deviato?
«Se lo avesse fatto sarebbe scomparso prima. Lui non ha dato più segni di presenza in una città estesa come Milano, con 500 mila abitanti, una città moderna. Non stiamo parlando del nulla».
Qual era il piano di viaggio dei ragazzi? Avevano tutti i visti?
«La realtà nostra è diversa da quella africana. In Europa passi da uno Stato all’altro e neanche te ne accorgi, lì invece ogni frontiera è presidiata e i controlli sono scrupolosi. Non passa nessuno se non ha il visto. I visti che occorrevano per entrare in Africa li avevano e avevano anche comunicato il percorso che avrebbero seguito: era un viaggio su cui lavoravano dal 2017, verificato anche da chi lo aveva percorso solo pochi giorni prima della loro partenza. Nessuna anomalia e nessuna avventura sahariana nel deserto. È successo che da qualche parte c’è stato un inconveniente. È stato un incidente? Più passa il tempo e più è improbabile. È stato un arresto per avere un rilascio su cauzione? Stiamo indagando ma non ci sembra. Sono scomparsi per una fuga in mezzo alla natura? No, Luca è un uomo di 30 anni non un bambino e non è la prima volta che va a lavorare all’estero. Allora o è stato rapito o inghiottito da un gorgo dove non si trova più niente. La cosa più probabile è che sia stato rapito. Da chi? Secondo noi non da jihadisti, da gente che fa terrorismo. Ci sembra più probabile un sequestro per fini politici o economici. In questi casi prima o dopo, se lasciamo indagare chi di mestiere fa questo e lo fa bene, troveremo la soluzione».
E la storia del visto per cinque Paesi e della vendita dell’auto?
«Dettagli capiti male perché vanno inseriti in discorsi più ampi e precedenti. Sapeva quanto eravamo preoccupati a casa per la tenuta della macchina e lui si divertiva a dirci che gli offrivano un sacco di soldi e che l’avrebbe venduta. Ma era un gioco fra noi e con gli amici. In realtà quell’auto doveva arrivare a destinazione in Togo con il suo contenuto. Né erano previste deviazioni in altri Paesi. Sono cose che chi deve indagare ha già ben valutato perché abbiamo fornito tutte le informazioni».
A quando risale l’ultimo contatto con il cellulare di Luca?
«Alle 23.57 del 15 dicembre, quando ha spedito l’ultimo messaggio. Poi sono risultati entrambi spenti, sia quello di Luca che quello di Edith. Il telefono di Luca si è rotto in Mali e lì ne ha acquistato uno nuovo, funzionava bene perché ci ha messo la sua scheda. Edith invece non ha mai avuto il cellulare, però quando sono partiti Luca gliene ha regalato uno. Ma dall’Africa ci si collega solo con il Wifi. C’è anche la rete, ma è talmente costosa che tutti usano il Wifi e con quel sistema ci si parlava, ci spediva messaggi e foto. Comunque i servizi d’intelligence dispongono di tutti i codici identificativi dei telefoni».
Come stanno cercando Luca e Edith e come tenete i contatti con la Farnesina?
«Non so come, ma siamo certi che molta gente dei servizi e il governo del Burkina li stanno cercando. Ho la certezza che stanno battendo tutte le strade. Abbiamo un contatto telefonico quotidiano con il ministero degli Esteri e ci sentiamo spesso anche con le ambasciate».
Che opinione si è fatto di quel francese, Robert? «Quando hai l’ultimo aggancio parti dall’ultimo per arrivare al primo. Li stanno sentendo tutti, anche l’amico che hanno incontrato a Casablanca. Tutto quello che è successo in Africa viene tracciato».
Avete rapporti con la famiglia di Edith? Come si sta muovendo il governo canadese?
«Con i Blais parliamo quasi tutti i giorni. Il governo canadese sta lavorando. Non devo dirlo io, ma la sensazione nostra è che stiano lavorando sia gli africani che le due ambasciate».
Luca aveva intenzione di tornare in aereo, aveva già preso il biglietto di ritorno? «No, lo avrebbero acquistato una volta finito quello che dovevano fare in Togo. C’era la data indicativa del 20 febbraio, però abbiamo capito è che in Africa il tempo scorre in maniera diversa da qui».
Come state vivendo questa terribile vicenda?
«Dico solo che non si sta scherzando, siamo su un campo minato. Stiamo parlando di una insieme di situazioni molto delicate in un mondo completamente diverso dal nostro, dove c’è chi rischia la vita, primi fra tutti mio figlio e Edith. Qualsiasi informazione distorta è un danno enorme alle indagini e ci fa molto male».
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