Il pasticciaccio «cultura rurale»
Associazione e movimento politico: ma sono tutti cacciatori

Il 2011 si sta rivelando un anno particolarmente fecondo per la nascita di gruppi per la "difesa della Cultura rurale". I primi di agosto si è costituito, con sede a Mestre, addirittura un Movimento per la Cultura Rurale. Pochi mesi fa in Regione è stata presentata dall'onorevole Sergio Berlato (membro della Commissione Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare del Parlamento europeo e della Commissione Affari Costituzionali) l'Associazione per la difesa e la promozione della Cultura rurale (Acr); in parallelo, è stata dichiarata l'esistenza di una Fondazione con lo stesso nome e gli stessi obiettivi, condivisi anche da altre associazioni che ne fanno parte: Confederazione Associazioni Venatorie (Confavi), Federfauna, eccetera (vedi l'elenco in basso). E' curioso che almeno un membro di queste associazioni sia parte del comitato direttivo di quella nascente e, ancora più singolare, è scoprire che la passione che accomuna tutti (Associazioni, Fondazioni e Movimenti) sia la caccia e la volontà di conquistare nuovi territori per cacciare, spesso presentandoli come territori da salvaguardare. Tra Associazione e Fondazione per la cultura rurale gli esponenti sono il presidente onorevole Sergio Berlato e il vice Massimiliano Filippi (segretario generale di Federfauna); nei comitati troviamo Maria Cristina Caretta (presidente Confavi, coordinatore Regione Trentino per Fare Ambiente), Massimo Zaratin (rappresentante Regione Veneto Wilderness Italia, amministratore Federfauna, presidente del Movimento politico citato in apertura e autore di articoli di un certo spessore, come quelli su come fotografare l'animale ucciso per ricordo), Vincenzo Forte (segreteria di Sergio Berlato), Roberto Basso (segretario regionale Ambiente è Vita); tutti gli altri appartengono all'Associazione Cacciatori Veneti, molti sono proprio i presidenti provinciali. Perfino la sede dell'Acr combacia con quella dell'Acv e della segreteria dell'onorevole. In apparenza la base su cui poggiano questi gruppi è la marcata contrapposizione tra cultura rurale e cultura urbana. La "Cultura rurale" (sempre con la C maiuscola) viene descritta nei testi di presentazione come bersaglio di «un'offensiva sferrata» da parte della «componente più integralista dei portatori della cultura urbana, supportati da potenti mezzi economici e da una parte dei mezzi di informazione» che, di conseguenza, «costringe i portatori della Cultura rurale ad organizzarsi e a respingere questa offensiva, a salvaguardia delle proprie attività economiche, sociali e culturali». Altro che cultura, gira e rigira gli animalisti diventano integralisti e i cacciatori ambientalisti, o meglio coloro che praticano «la salvaguardia degli animali, non secondo ideologie fuorvianti che li vorrebbero umanizzare, ma su basi scientifiche secondo il principio naturale che persegue la conservazione». Non si vuole naufragare in discorsi sull'essere favorevole o meno alla caccia, ma neppure accettare che la caccia venga spacciata come elemento utile e necessario alla corretta gestione dell'ambiente. E' scandaloso scoprire che dietro al termine "ambientalista" si nasconda, a volte, il tentativo di legittimare una pratica non condivisa da tutta la collettività, come invece lo è quella di preservare l'ambiente. Si possono trovare dei compromessi su che cosa significhi cultura rurale e urbana, ma non ce ne sono su che cosa significhi cacciare: per evitare ogni equivoco questo aspetto deve essere chiaro. L'onorevole Sergio Berlato sostiene che la caccia è la potatura dei rami secchi, ma ci si domanda come mai allora le associazioni venatorie durante il periodo di caccia immettano (seguendo la quantità prevista dalla legge) nel territorio ogni settimana animali cacciabili, per giunta allevati in cattività. Uno sgradevole sospetto avanza: non è che si colga la scusa di ripulire l'albero dai cosiddetti rami secchi per soddisfare soltanto il piacere di chi ama prendere la forbice in mano e potare?
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