IL PERSONAGGIO / Enzo Moretto: «Ecco perchè mangiare insetti»

È considerato il «signore» di insetti e farfalle, l’entomologo padovano Enzo Moretto, direttore e fondatore di «Butterfly Arc» e di «Esapolis»
Enzo Moretto - Allevamento Farfalle Torreglia BELLUCO
Enzo Moretto - Allevamento Farfalle Torreglia BELLUCO

PADOVA. Gli insetti nel piatto: buoni da mangiare, nutrienti, biologici ed economici. La nuova frontiera dell’alimentazione si chiama entomofagia e la comunità scientifica è convinta che cibarsi di insetti potrà solo farci del bene, sia per la nostra dieta che per l’equilibrio ambientale. «In fondo tutti ogni anno mangiamo qualcosa come mezzo chilo di insetti». E se lo dice l’entomologo padovano Enzo Moretto, un’autorità in materia, c’è da credergli. «Non ne siamo consapevoli, ma ingeriamo frammenti di insetti presenti nelle farine, ma anche nei fichi, che sono una specie di ragù d’insetti, o nei funghi. E proprio i funghi come alimento sono “parenti” degli insetti perché ricchi di chitina, uno dei principali componenti dell’organismo degli insetti». Il fondatore nonché direttore di Butterfly Arc, la “Casa delle farfalle” di Montegrotto e di Esapolis, il Museo degli insetti di Padova, unico nel suo genere in Italia, ha girato il mondo e dedicato la vita alla ricerca e alla divulgazione di autentiche bellezze della natura come le farfalle e gli insetti. E da scienziato è abituato ad affrontare con pragmatismo anche temi che potrebbero far sorridere, come la cucina a base di insetti. Al punto da dedicare al tema una giornata di informazione scientifica e confronto con addetti ai lavori e studenti domani ad Esapolis. Nel pomeriggio le relazioni di docenti e ricercatori universitari, alla sera si passa alla pratica con la “prova del cuoco” che mostrerà come cibarsi di insetti.

Ma perché proprio gli insetti, professor Moretto?
«Non vedo perché no, del resto nel mondo ci sono almeno un miliardo di persone che vivono cibandosi degli insetti più svariati e due miliardi di persone che ne fanno abitualmente uso in cucina. Molti sono delle vere e proprie prelibatezze».

Addirittura...
«Come no, in Messico le “chapulin” sono ottime cavallette bollite, oppure le formiche “culone”, lunghe due centimetri, sono molto apprezzate. In Africa il bruco “mopane” genera un volume d’affari di 80-100 milioni di dollari, certi tipi di larve costano anche 100-200 dollari al chilogrammo. Non dimentichiamo che nel mondo ci sono 1.900 specie d’insetti commestibili, un patrimonio di biodiversità».

Perché nei Paesi occidentali non si mangiano insetti?
«Per una questione culturale, prima di tutto. Anche se non mancano le eccezioni, come il formaggio con i vermi, le lumache o i molluschi. Vi sono anche aspetti normativi che ancora non consentono la somministrazione di insetti come cibo. La situazione sta evolvendo, però, e l’Unione Europea ha inserito la coltivazione di insetti nell’ambito dell’agricoltura biologica».

Ma che gusto ha un insetto?
«Dipende, è un mondo vario. Abbiamo fatto delle “degustazioni” ed è emerso che per molti il baco da seta sa di fagiolo, mentre gli altri gusti più avvertiti sono il pollo o i gamberetti. Dipende anche da cosa mangiano gli insetti: se un grillo ha mangiato cavoli, saprà anche di cavolo».

C’è da vincere la repulsione della gente?
«Non più di tanto, perché chi li assaggia li trova buoni. Per di più fanno bene alla salute perché contengono sostanze fondamentali per la nostra alimentazione. Non è una moda, ma una nuova frontiera da esplorare, che potrebbe anche favorire delle nuove attività e creare dei posti di lavoro».

Vuole dirci che in futuro “alleveremo” insetti da mangiare?
«In Olanda lo fanno già con successo, è il paese leader nella produzione di insetti a scopo alimentare. Da noi è ancora considerato un fatto curioso, quasi folcloristico, ma abbiano tanti giovani ricercatori che si stanno impegnando per creare nuove opportunità e migliorare anche la nostra alimentazione. Del resto il nostro clima mediterraneo, alla base della varietà di prodotti agroalimentari, si presta anche a questo scopo e ci permetterebbe di avviare una produzione sostenibile anche dal punto di vista ambientale. Ci vorrà tempo e impegno, ma la strada è già tracciata».

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