Il professor Cillo contagiato in corsia a Padova: «Ho avuto paura, serve una vaccinazione massiva»

Il primario di Chirurgia Epatobiliare, colpito dal virus, racconta i giorni terribili della malattia, la quarantena, la risalita "Sono stato molto male: febbre alta e desaturazione". 
Al centro il professor Umberto Cillo insieme alla sua équipe, dopo un intervento avvenuto in periodo precedente al Covid
Al centro il professor Umberto Cillo insieme alla sua équipe, dopo un intervento avvenuto in periodo precedente al Covid

PADOVA. Anche quando la prudenza è massima, quando si conoscono bene gli effetti che può avere il virus a prescindere da età e patologie, quando si fa una vita il più ritirata possibile, casa e lavoro, per non dover assentarsi neanche un giorno dall’ospedale, il Covid può fare il suo irruento ingresso nella propria vita. Lo sa bene il professor Umberto Cillo, medico luminare, direttore della Chirurgia Epatobiliare e Centro Trapianti di Fegato dell’Azienda Ospedaliera, che da quasi 10 giorni, chiuso in casa, sta combattendo la sua personale battaglia contro il virus. E non da asintomatico, nonostante i suoi 58 anni e una salute di ferro.

Professor Cillo come sta? «Adesso sto meglio. Non ho più la febbre e un po’ alla volta sto scalando la terapia».

È in quarantena dunque? «Sì e ci rimarrò ancora per diversi giorni, il prossimo tampone credo lo farò nel fine settimana».

Ci vorrà un po’ di tempo prima che ritorni in ospedale. «Sicuramente, vedendo anche il percorso di altri colleghi, prima di avere due tamponi negativi passa anche un mese».

Professore come pensa di aver contratto il virus?

«In reparto, Chirurgia Epatobiliare, da un paziente».

Ma voi fate il tampone ai pazienti prima del ricovero.

«Assolutamente sì. Questo paziente, entrato per essere operato di un tumore al fegato, ha eseguito come di prassi il tampone molecolare ed è risultato negativo».

E poi cos’è successo?

«Lo stavamo preparando per l’operazione quando ha iniziato ad accusare i primi sintomi. Abbiamo ripetuto il tampone e questa volta è risultato positivo. L’abbiamo isolato e abbiamo rimandato l’intervento».

Lui ora come sta?

«Bene, per fortuna non ha avuto grossi problemi. Aspettiamo si negativizzi per operarlo».

Lei invece quando ha iniziato a stare male?

«Sabato 30 novembre ho iniziato ad avere la febbre a 40, tosse e un po’di desaturazione. Ho fatto subito il tampone e sono risultato positivo».

In ospedale l’aveva fatto?

«Li facciamo ogni due, tre, massimo quattro giorni. Sono sempre risultato negativo, probabilmente ho sviluppato l’infezione subito dopo. Eppure nel nostro reparto abbiamo prestato sempre la massima attenzione. Per evitare qualsiasi tipo di rischio dal 22 febbraio scorso, quando ancora nessuno immaginava questo disastro, abbiamo chiuso le visite. Nessuno è più entrato a Chirurgia Epatobiliare. Abbiamo poi utilizzato tutti i dispositivi di sicurezza e anche di più: doppi guanti, doppie mascherine, protezioni totali».

Dopo il caso del paziente positivo si è infettato solo lei?

«No, anche altre sette, otto persone. I primi sono stati gli infermieri, poi qualche medico e specializzando».

Il reparto ne ha risentito?

«Per fortuna non siamo risultati positivi tutti nello stesso momento e l’attività non è stata compromessa. Nessuno ha necessitato il ricovero».

Con 40 di febbre, tosse e desaturazione non ha pensato di dover essere ricoverato?

«Sì l’ho pensato. Essendo un medico sono riuscito a gestire la situazione da solo, a casa. Sono in costante contatto con la dottoressa Annamaria Cattelan delle Malattie Infettive e prendo tutti i medicinali necessari: cortisone, eparina, antibiotici».

L’ha fatto anche per non pesare sul suo ospedale occupando un posto?

«Mi sono posto il problema di non caricare ulteriormente la struttura».

Con i farmaci è migliorato subito?

«Per niente, i primi giorni sono stati terribili. La desaturazione ad un certo punto è arrivata a livelli preoccupanti».

Ha avuto paura?

«Si, ho avuto paura. Sono stati giorni di grande preoccupazione».

Nonostante sia un medico?

«A maggior ragione. Noi conosciamo ancora meglio quali possono essere le complicanze e sappiamo bene che questo è un virus imprevedibile, che porta a polmoniti anche molto gravi».

Lei ha avuto la polmonite?

«Fortunatamente no».

Quando ha iniziato a sentirsi meglio?

«Mercoledì sono uscito dalle fase più brutta. Si è abbassata la febbre e ho iniziato a stare un po’ meglio».

Come sta passando la quarantena?

«Mi sono isolato in casa. Sto continuando a lavorare tra videoconferenze e contatti costanti con il mio gruppo di lavoro in modo da avere tutto sotto controllo».

E i suoi famigliari?

«Mia moglie continua a essere negativa e i miei due figli vivono all’estero».

Com’è restare in isolamento?

«È dura, ma io e mia moglie ce la caviamo, ordiniamo a domicilio, rimaniamo isolati ma abbiamo tante persone che ci telefonano e ci stanno vicino. Non immagino cosa voglia dire per un anziano che è solo e magari non ha neanche parenti vicino vivere un momento come questo. Un altro aspetto che forse con il vaccino verrà risolto».

In che senso?

«Bisogna considerare che ci sono persone e famiglie devastate non solo dal virus ma anche dall’isolamento che esso comporta. Per questo la campagna sul vaccino deve essere massiva».

Dunque lei si vaccinerà?

«Adesso dovrei avere gli anticorpi naturali ma se non li avessi assolutamente sì».

Anche se ci fossero effetti collaterali?

«Il Covid 19 è una patologia molto variabile con una serie di potenziali eventi avversi subito, ma anche una volta superata la malattia. La severità di questa forma rende gli effetti collaterali molto meno rilevanti».

Quali possono essere secondo lei?

«È evidente che un vaccino può provocare piccoli effetti collaterali, ma il prezzo è molto piccolo rispetto alla malattia».

Invita le persone a vaccinarsi?

«È indispensabile che la popolazione si vaccini. Per avere un’immunità generalizzata bisogna avere almeno il 70% di vaccinati». —


 

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