Il rocambolesco ritorno a casa del soldato: lo pensavano morto, ma scampò ai nazisti

Camposampiero. Antonio Santi, 97 anni, ultimo testimone della Seconda guerra mondiale: «Non si spenga la memoria della Liberazione»
Da sinistra l’ex prigioniero di guerra Antonio Santi, 97 anni compiuti a febbraio, insieme al figlio Lorenzo
Da sinistra l’ex prigioniero di guerra Antonio Santi, 97 anni compiuti a febbraio, insieme al figlio Lorenzo

CAMPOSAMPIERO. È l’ultimo testimone vivente a Camposampiero che può raccontare la Seconda guerra mondiale e il significato del 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione. Antonio Santi, classe 1924, 97 anni compiuti a febbraio, oggi vive nella sua casa natale in via Fabris, si occupa dei suoi campi ed ogni mattina, dopo colazione, va dal figlio Lorenzo, fabbro, che abita nella proprietà vicina, per informarsi sui lavori del giorno.

Berlino

Ma il ricordo di due anni e mezzo di prigionia in Germania e di quel ritorno a casa è impresso nella sua mente ancora lucidissima. A Berlino, dove Santi trascorse tutta la sua prigionia, i russi entrarono nell’aprile del 1945 e dopo l’assedio finale liberarono la città il 2 maggio, pochi giorni dopo la liberazione dell’Italia da parte delle truppe anglo-americane.

«Quando arrivarono i russi e gli americani a Berlino, capii subito che dovevo fuggire perché i tedeschi avrebbero ammazzato tutti noi prigionieri per evitare che testimoniassimo ciò che avevamo visto e vissuto», racconta Antonio Santi. «Così salii di corsa sul primo treno merci e fuggii verso l’Austria». Dopo varie peripezie, compreso un periodo di venti giorni a servizio nelle stalle e nei campi del sindaco di un paese austriaco che voleva trattenerlo come fattore, Santi riuscì ad arrivare in treno a Bolzano e da lì, fino a Padova.

La fuga

«Poi presi il primo treno per Camposampiero ed arrivato in stazione, prima di correre a casa, mi fermai al santuario dei frati per ringraziare il Santo dell’aiuto ricevuto».

La messa funebre

Oggi, il 97enne reduce di guerra si commuove ancora fino alle lacrime, nel ricordare il momento in cui i genitori, Giuseppe e Giuseppina, lo videro arrivare dai campi mentre stavano lavorando. In famiglia, vista l’assenza di notizie, Antonio era dato ormai per morto in guerra tanto che era stata celebrata una messa funebre in sua memoria.«Durante gli anni di prigionia, ci avevano spogliato di tutto, compresi gli affetti ed i ricordi della famiglia». Le lettere che inizialmente Antonio scriveva a mamma e papà, infatti, non erano mai partite da Berlino perché i tedeschi le bruciavano immediatamente dopo averle prese per “spedirle”. Così i legami con Camposampiero si erano interrotti per lungo tempo, fino al miracoloso ritorno.

La prigionia

«Tutto era iniziato a Milano alla fine del 1942, nella caserma dove stavamo svolgendo l’addestramento, inquadrati nel corpo di artiglieria pesante. I tedeschi arrivarono e portarono via tutto, caricandoci nei carri bestiame sui quali viaggiammo fino a Berlino».

Qui Santi trascorse due anni e mezzo in un campo di prigionia, «vivendo in baracche e mangiando solo verze, cavoli, zuppe e patate, quando c’erano». Il compito della sua squadra era quello di riparare luoghi bombardati, sgomberare macerie e ricostruire la città.

«Eravamo condannati alla morte e solo per puro caso potevamo salvarci, perché i comandanti del campo procedevano con esecuzioni sommarie anche per motivi banali». Ma Antonio Santi resistette fino alla Liberazione e oggi, come da tanti anni, può raccontare ancora alle generazioni più giovani cosa fu la Seconda guerra mondiale per tanti ragazzi italiani e cosa significa essere liberi. Perché la memoria non si spenga. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova