Il vero Rubicone di Giulio Cesare

SAN MAURO PASCOLI (FORLÌ)
Oltre venti secoli non sono bastati per fare chiarezza su uno dei simboli dell'Italia: il fiume Rubicone. Qual è il vero corso d'acqua che Giulio Cesare attraversò sfidando le leggi romane e pronunciando la celebre frase “Alea iacta est”? L’interrogativo se lo pone il tradizionale “Processo” che ques’oggi si celebra a San Mauro Pascoli, promosso da Sammauroindustria, che già in passato ha posto l’attenzione su “spinose” questioni di storia locale e nazionale. Come appunto questa del Rubicone, finita addirittura sulle pagine del quotidiano inglese The Guardian con un articolo di Lizzy Davies dal titolo “Rubicon river rivalry in Italy to be settled with mock court case” (La rivalità del fiume Rubicone in Italia sarà decisa da un tribunale di finzione). «Il tredicesimo processo al Rubicone si fonda sul fatto che un piccolo fiume della Romagna è un pezzo importante dell’immaginario collettivo internazionale», afferma Miro Gori, presidente di Sammauroindustria e ideatore dei Processi, «Significa sfida, coraggio e voglia di rischiare: per questo tre piccoli fiumi (Fiumicino, Uso, Pisciatello-Urgòn) discutono da secoli per fregiarsi del nome Rubicone». Tre le ipotesi sul tavolo, che hanno portato gli organizzatori e rivedere la formula: non più di fronte un’accusa contro una difesa, bensì tre argomentazioni a confronto guidate da altrettanti personaggi. Il giornalista Giancarlo Mazzuca sostiene le tesi del Fiumicino (in sostanza l’attuale Rubicone decretato da Mussolini nel 1933), lo studioso cesenate Paolo Turroni difende il Pisciatello-Urgon, l'archeologa riminese Cristina Ravara Montebelli opta per l'Uso. A presiedere il Tribunale sarà Gori. L'inizio è alle 21 (ingresso ibero) sempre alla Torre-Villa Torlonia, il verdetto sarà emesso dal pubblico munito di tre palette. Pubblico che sarà accolto all'ingresso da due Legionari della Legione di Cesare grazie alla collaborazione con l'Associazione Legio XIII Gemina di Savignano sul Rubicone. Va ricordatoil fiume nel 50 a.C. segnava il confine tra l’Italia, cioè il territorio di Roma e la provincia della Gallia Cisalpina. Non poteva essere attraversato da un generale con l’esercito. Cesare, nel 49 a.C., lo attraversò.
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