Quasi 100 mila immigrati nel Padovano, il vescovo: «Gli allarmismi non servono»

Ricongiungimenti familiari, lavoro e protezione internazionale tra i principali motivi di arrivo. Il Vescovo Cipolla: «Non sono numeri ma persone»

Daniela Gregnanin
La presentazione del rapporto Caritas
La presentazione del rapporto Caritas

«Non sono numeri ma persona». È la premessa con cui la Caritas ha presentato il rapporto statistico sull’immigrazione ieri sera a Palazzo Moroni, organizzando un confronto con esperti e autorità . L’iniziativa è stata organizzata dalla Caritas assieme alla Pastorale dei Migranti-Migrantes e alle associazioni, ed è stata l’occasione presentare e discutere i nuovi dati del “Dossier statistico immigrazione 2024”.

I dati

In Veneto gli stranieri erano nel 2023 – anno di riferimento del dossier – 504.977, di questi gli extracomunitari erano 335.840. Il 21,3% era rappresentato da minori e il 64,4% da soggiornanti di lungo periodo. I permessi rilasciati nel 2023 sono stati soprattutto per ricongiungimento familiare nel 45% dei casi, per asilo nel 27,5% dei richiedenti, mentre la voce permesso di lavoro è stata del 13,2%.

I settori nel quale gli stranieri in Veneto hanno trovato lavoro sono stati: domestico (65,4%), industriale (13,6%), agricolo (13,1%), servizi (10,7%) e commercio (6,4%).

L’ultimo dato sulla presenza di immigrati in provincia di Padova è di 96.639 persone, al secondo posto in Veneto dopo il Veronese (111.175). Sul totale dei residenti stranieri nella nostra provincia i non comunitari sono 60.561.

I motivi che hanno spinto i migranti a stabilirsi nel Padovano sono stati molteplici, in primis il ricongiungimento familiare (31,3%), mentre il 28,7% lo ha fatto per lavoro. Il 18,8% di coloro che hanno deciso di vivere qui ha chiesto protezione e il 7,1% asilo.

La comunità maggiormente presente anche oggi e che rientra nei paesi comunitari è quella dei romeni, mentre la maggior parte di stranieri extra Ue proviene da Marocco, Cina, Albania e Moldova.

I casi

«In Italia stabilmente da almeno sette anni ci sono circa 5 milioni 700 mila stranieri. Le seconde generazioni, quindi i minorenni sono attualmente un milione e 300 mila e di questi più di un milione sono ancora senza la cittadinanza italiana – spiega Luca di Sciullo presidente del Centro studi e ricerche Idos – Si discute a livello nazionale sulle regole per conferire la cittadinanza. Ricordo che ci sono tantissimi giovani nati nel nostro Paese o addirittura figli di immigrati appartenenti alla seconda generazione che non possono godere del titolo e questo deve farci riflettere».

«Si tratta di un problema risalente al 1998 da quando è stato varato il Testo unico: da 27 anni le politiche sono restrittive e si sono sedimentate tutta una serie di norme che rendono davvero complicato e limitativo l’accesso alla cittadinanza», sottolinea Di Sciullo che aggiunge: «La grande sfida la stanno vivendo i giovani immigrati che arrivati all’adolescenza, si pongono diverse domande sulla loro identità e vivono un duplice conflitto: si sentono italiani e si scontrano con la famiglia d’origine da un lato e dall’altro, avendo visto i genitori soffrire per colpa delle discriminazioni subite, identificano la società e le istituzioni italiane come nemiche».

«Non sono numeri ma persone, abbiamo bisogno di migranti, il mondo del lavoro necessita di personale e l’incontro tra culture diverse favorisce storie ed esempi positivi che spesso non vengono raccontati. Occuparsi di migranti in modo amichevole e a 360 gradi, senza creare allarmismi attorno ai flussi, è fondamentale», chiarisce monsignor Claudio Cipolla vescovo di Padova, da sempre con uno sguardo attento su questo tema.

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