In duemila al Bo per la lectio magistralis dell’archistar Renzo Piano

L’urbanista-artista incanta tutti con aneddoti, ricordi e illuminazioni di 40 anni di creatività. «Ma quando iniziai ero un ragazzaccio ribelle e maleducato»

PADOVA. Una delle magie di Renzo Piano è nei suoi lavori, in quelle 32 opere disposte su altrettanti tavoli con attorno otto sedie l'uno perché la mostra nell'immenso spazio del Palazzo della Ragione diventi qualcosa di simile a un «laboratorio di idee».

Un'altra, però, è nell'atmosfera che unisce duemila persone, stipate nell'aula magna del Bo o davanti a un maxischermo esterno all'Università, che non perdono una sillaba della sua lectio magistralis: si parla di architettura, di opere realizzate in tanti anni in giro per il mondo, ma anche di Mediterraneo.

«Era più di 40 anni fa quando ho iniziato con Richard Rogers», ha detto Piano, «ed eravamo dei ragazzacci un po’ ribelli e un po’ maleducati. Tutto è iniziato con un'opera che non riesco ancora a capire come abbiano fatto a lasciarci fare: il Centre Pompidou, a Parigi. All'inaugurazione la gente pensava che fosse ancora da finire e che quelle fossero impalcature che prima o poi sarebbero state tolte».

L'architetto, nominato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano senatore a vita, è arrivato a Padova per l'inaugurazione della retrospettiva all'interno della sesta edizione della Biennale internazionale di Architettura «Barbara Cappochin».

Un momento emozionante come lo è stato proprio la lectio magistralis. «La sorpresa, quando ho visto per la prima volta questa mostra, è stata rendermi conto che la vita è passata in un istante, sono sconvolto dalle tante cose che ho fatto» ha esordito. Poi, una sequenza di aneddoti a formare il racconto di una vita vissuta sempre all'insegna della ricerca, del saper cogliere la sfida con uno spirito rivoluzionario.

In esposizione nel Renzo Piano Building Workshop - Pezzo per Pezzo 32 opere. «Sono la dimostrazione che l'arte può essere anche utile, può essere anche militanza», ha spiegato, « e sono la dimostrazione dell'idea folle di voler cambiare il mondo, e in alcuni casi la dimostrazione che è possibile farlo. Il nostro mestiere non è altro che costruire dei ripari per il genere umano, e nel fare questo l'etica non può essere disgiunta dall'estetica. Tra un'ansia del bello e un'ansia del sociale».

Piano è anche uomo di mare e nelle sue parole c'è il Mediterraneo: «Non un mare», ma «una zuppa di cultura, colori, vibrazioni. Questo è il mio local. Un local che capisci avere ancora in sè i fantasmi di migliaia di anni e di culture diverse».

«A forza di viverlo intensamente», ha spiegato, «questo local non è più local, ma è un universale, diventa la tua essenza, e quando hai 60 o 70 anni capisci finalmente che questo è quello che fa di te la persone che sei».

Nella lunga giornata padovana non è mancata la domanda sull'appello del premier per l'edilizia scolastica, sugli incontri, e Piano: «le mie indicazioni sono state recepite bene da Renzi, poi io ho sempre fiducia negli altri. Insomma, uno fa quello che pensa sia giusto fare, e poi a buon intenditore poche parole».

Ancora un mistero, invece, se il grande architetto accetterà la proposta del sindaco reggente Ivo Rossi di disegnare l'Arcella del futuro.

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