In pensione Calogero Con il 7 aprile arrestò l’Autonomia

Il magistrato combatté a Padova il partito armato Dal 2009 era procuratore generale alla Corte d’Appello
Di Cristina Genesin
Interpress/Mazzega Morsego Venezia, 26.01.2013.- Apertura Anno Giudiziario Corte d'Appello Venezia.- Nella foto, il Dr. Pietro Calogero
Interpress/Mazzega Morsego Venezia, 26.01.2013.- Apertura Anno Giudiziario Corte d'Appello Venezia.- Nella foto, il Dr. Pietro Calogero

È il volto e il nome di un capitolo importante della storia giudiziaria non di Padova, o del Veneto, ma dell’Italia intera. Dalla nascita della cosiddetta strategia della tensione, sul finire degli anni ’60 con la bomba del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana a Milano, passando per i più profondi anni di piombo fino alle spinte secessionistiche (o presunte tali) destinate a scuotere la nostra Regione e alla crisi di una classe politica dilaniata (e devastata) dagli scandali della corruzione che hanno (e stanno) spolpando il sistema-paese. È Pietro Calogero, magistrato siciliano d’origine e padovano d’adozione, in pensione dal 28 dicembre giorno in cui, almeno simbolicamente, ha appeso al chiodo la toga con il compimento del 75º anno d’età, essendo nato il 28 dicembre 1939 a Pace del Mela in provincia di Messina. Simbolicamente, certo: difficile pensare che uno come lui, uomo delle istituzioni, possa dimenticare la professione di una vita. Ultimo incarico ricoperto dal 2009, quello di procuratore generale presso la Corte d’appello di Venezia: in pratica il “capo” dei magistrati che svolgono la funzione di pubblica accusa nei processi di secondo grado del distretto veneto.

Laurea a Padova in Giurisprudenza nel 1963, entra in magistratura e nel settembre del 1969 viene spedito alla procura di Treviso. Battesimo di fuoco come ricorderà per la prima volta lui stesso, sempre poco loquace, in un’aula dell’Ateneo patavino nel 2012: «Era la vigilia del Natale 1969, ero di turno in procura a Treviso che, allora, era in piazza Duomo. Si presentò nel mio ufficio l’avvocato Alberto Steccanella di Conegliano... Un suo giovane cliente (il professor Guido Lorenzon) aveva ricevuto da un amico confidenze che potevano avere interesse per la ricostruzione dei fatti di piazza Fontana». L’amico era Giovanni Ventura, libraio neofascista di Castelfranco Veneto. «Ventura» aveva ricordato Calogero, «gli aveva confidato di far parte di un’organizzazione militare di destra... che la strage era stata frutto di un errore... che lui era un agente dei servizi segreti». Pietro Calogero e l’allora giudice istruttore capo Giancarlo Stiz si mettono al lavoro, individuando (per primi) la pista dell’eversione nera e dei servizi deviati come responsabili della strage nella Banca dell’Agricoltura, mentre nel capoluogo lombardo finiscono in carcere gli anarchici come Valpreda e Pinelli “vola” dal quarto piano della questura. I primi risultati nel 1971 quando, sempre Calogero e Stiz, fanno arrestare il padovano Franco Freda e il trevigiano Ventura: l’inchiesta sarà poi trasferita a Milano per competenza territoriale. Nel 1975, nel pieno della stagione terroristica, Calogero sbarca a Padova da pubblico ministero (dal 1997 al 2009 sarà il capo della procura padovana). Coordina diverse inchiesta per vicende di natura eversiva e nel 1978 vengono esplosi alcuni colpi di pistola contro le finestre della sua abitazione. L'inchiesta più nota è quella che porta alla retata del 7 aprile 1979 con gli arresti di decine di militanti e dei vertici di Autonomia Operaia per associazione sovversiva. Tra loro, i docenti universitari Toni Negri e Luciano Ferrari Bravo, con Oreste Scalzone mentre Franco Piperno riesce a fuggire. Si parla del “teorema Calogero” a proposito del «filo rosso» che legherebbe il gruppo dirigente di «Potere operaio» ai vertici dell' Autonomia e delle Brigate rosse. Teorema al centro di aspre polemiche mai sopite.

Ha scritto sulle pagine del Mattino, il 4 aprile 2009, l’onorevole democratico Alessandro Naccarato: «... Al termine del lungo percorso giudiziario, che ebbe un momento importante negli arresti del 7 aprile 1979, su 243 persone rinviate a giudizio, 162 furono condannate a 424 anni e 2 mesi di reclusione, e la pena fu ridotta da amnistie, prescrizioni e dalla concessione delle attenuanti... Le sentenze confermarono l'esistenza del partito armato, fondato sui rapporti... tra diversi gruppi terroristici: Brigate Rosse, Prima Linea, Autonomia Operaia Organizzata, Collettivi Politici Veneti... organizzazioni coordinate nelle loro azioni che utilizzavano la violenza armata per realizzare lo stesso disegno eversivo di destabilizzare e colpire le istituzioni... Pietro Calogero fu il primo a comprendere le caratteristiche del partito armato».

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