Inaugurazione dell'anno accademico Parla il rettore: «Roma deve capire che qui da noi c’è l’eccellenza»

Il rettore Giuseppe Zaccaria fa il punto in occasione dell'inaugurazione dell’anno accademico: «Il Paese per ripartire deve tornare a premiare i migliori»

PADOVA. Magnifico rettore Giuseppe Zaccaria, si inaugura l’anno accademico. Un po’ in ritardo rispetto al passato?
«Sì, perchè ho voluto aspettare passassero le elezioni. Non volevo che le mie parole fossero interpretate politicamente».

Lo sarebbero state?
«In realtà non penso alle responsabilità politiche specifiche, non mi piacciono i lamenti per la perdita di fondi, non accuso per i fortissimi tagli che ci vengono imposti e non ci fanno stare certo allegri. Mi interessa far capire che i tagli orizzontali fanno male all’Università italiana, noi vogliamo che Roma riconosca l’eccellenza e i meriti, e noi a Padova siamo eccellenza».

Padova è al top?
«Certo, non lo dico io ma risulta da più fonti ufficiali. Ma la nostra eccellenza viene mortificata da uno Stato che non premia i migliori ma schiaccia tutti nella mediocrità. Le Università italiane non sono tutte uguali, c’è chi è ai vertici europei, e noi lo siamo».

Sta suggerendo una nuova forma di autonomia universitaria?
«Io sono perchè si diano i finanziamenti statali a chi lo merita davvero, sono perchè si lascino lavorare in autonomia le università che dimostrano di comportarsi bene. Sinceramente, siamo un po’ stanchi di essere mortificati da un centralismo asfissiante. E il peggio è che più soldi ti tolgono, e più vogliono intromettersi nella gestione con una burocrazia sempre più ingombrante».

Zaccaria, ma questo sembra un discorso secessionista...
«Ma no, assolutamente. Dico solo che per ripartire questo Paese deve avere il coraggio di dire tu sì e tu no».

Padova avrebbe un sì.
«Guardi, qui abbiamo tradizione e innovazione. Ci sono settori decisivi. Padova ha un livello di qualità molto alto, e lo hanno capito le famiglie, gli studenti stessi. Si parla tanto di emorragia delle immatricolazioni, ma qui siamo in controtendenza, da noi le immatricolazioni aumentano. Poi possiamo discutere del perchè c’è stata nel Paese una crisi di immatricolazioni: ci sono problemi economici di famiglie che non ce la fanno, c’è soprattutto una campagna di denigrazione dell’Università da parte di chi vuol far passare il concetto che tanto studiare non serve. Ed è una sciocchezza, perchè studi recenti indicano che nel 2020 il 35 per cento della forza lavoro europea dovrà avere una formazione universitaria».

Se lei avesse un figlio che deve scegliere se e dove continuare gli studi dopo l’esame di maturità, che cosa gli direbbe?
«Fino a due anni fa polemizzavo con chi sosteneva che i nostri ragazzi devono andare a studiare all’estero. Oggi qualche dubbio ce l’ho. Sia chiaro: la preparazione da noi è al meglio, non temiamo nessuna concorrenza. Ma se garantisco solo a tre studenti su dieci di lavorare dopo la laurea, come faccio a trattenerli in Italia? Se studiano fuori dai nostri confini trovano subito lavoro. Persino se studiano qui e vanno poi a cercare all’estero trovano porte aperte: è l’ormai nota fuga di cervelli. E pensare che la formazione di un giovane, dalla prima elementare alla laurea, ci costa 500 mila euro. Regalarli ai Paesi emergenti è un problema».

Rettore, lei che studente universitario è stato?
«Erano gli anni Sessanta, c’era grande discussione, c’era aria di rinnovo, di contestazione. Ho vissuto un fermento culturale che ha progettato l’Italia. L’Università di Padova non era certo grande come oggi, c’era un decimo dei professori. E noi studenti eravamo una èlite».

E i giovani di oggi quanto somigliano ai giovani della sua generazione?
«Non ci sono analogie. Oggi i ragazzi non vivono grande vivacità culturale. Stimo i ragazzi di oggi perchè sono capaci di lavoro e sacrificio e il quadro in cui si trovano a vivere e formarsi è di estrema precarietà, che noi non avevamo».

Le borse di studio sono sempre meno garantite.
«Già, ed è un dato vergognoso. Lo Stato ha effettuato tagli enormi al diritto allo studio. Abbiamo minor fondi anche dalla Regione. Ho voluto prendere l’impegno personale di destinare cifre importanti del bilancio dell’Ateneo per coprire il più possibile gli aventi diritto alle borse di studio: ci mettiamo due milioni di euro, è uno sforzo significativo».

E al capitolo alloggi e mense che giudizio possiamo dare?
«Anche qui siamo al vertice nazionale per numero di alloggi, qualità dei pasti, offerta globale della città agli studenti. Fra poco avremo anche la Cittadella dello Studente, con altri trecento posti. Io sono convinto che Padova, con un modello autonomo, sarebbe un polo universitario di livello altissimo. Devono lasciarci lavorare».

Sarà questo il suo appello di domani?
«Il mio sarà un messaggio forte: la formazione superiore è la leva per affrontare, con le idee e l’innovazione, il cambiamento del Paese. Padova è pronta. Ci dovranno ascoltare».

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova