Indagine sul ritorno alla vita da un luogo di pace e di luce

di Paolo Baron
«Quel che avviene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente». Così, nel 1961, Carl Gustav Jung, psichiatra svizzero e padre della psicologia analitica, descrisse la sua esperienza ai confini della morte, fatta dopo un incidente che gli aveva procurato una frattura e un successivo infarto. Jung è solo uno dei tanti personaggi della scienza e della letteratura che in passato ha vissuto e descritto questo tipo di “viaggio”. Nel novero ci sono anche Ernest Hemingway, Lev Tolstoj e Victor Hugo, tanto per citarne alcuni.
Ma cos’è un’esperienza ai confini della morte? Pura fantasia? Un ricordo pesantemente condizionato da fattori esterni? Perché tutte le persone che dicono di averla vissuta la descrivono in maniera simile, nonostante le diversità culturali, sociali e geografiche dei protagonisti?
A dare una prima importante risposta a questi e altri quesiti ci ha pensato un gruppo di ricercatori della Scuola di Psicologia dell’Università di Padova, coordinato dai ricercatori Arianna Palmieri, Vincenzo Calvo e Paola Sessa, con la partecipazione del professor Marco Sambin, che ha di recente pubblicato sulla rivista scientifica “Frontiers in Human Neuroscience” una ricerca sul tema delle esperienze pre morte o “Nde” (in inglese Near-death-experiences) intitolata “Realtà dei ricordi delle esperienze ai confini della morte: risultati da uno studio integrato di psicologia dinamica e psicofisica”.
Una ricerca tesa a far luce su un fenomeno che da sempre lacera la comunità scientifica, divisa in due fazioni: da un lato i “riduzionisti” che lo relegano ad aspetti meramente biologici (allucinazioni) o psicologici (autosuggestioni o fantasie). Dall’altro gli spiritualisti, che lo considerano una prova dell’esistenza di una forma di vita oltre la morte: è l’anima, che continuerebbe a esistere oltre la realtà fisica, in un luogo al di là dello spazio e del tempo.
Secondo alcuni ricercatori, tra l’altro, l’incidenza del fenomeno sarebbe molto più elevata di quella che ci si potrebbe aspettare e riguarderebbe una percentuale fra il 5% e il 35% della popolazione mondiale. Purtroppo si tratta di informazioni che con grande reticenza vengono condivise da parte di chi le ha vissute in prima persona, probabilmente per paura di essere considerati nel migliore dei casi bizzarri, nel peggiore completamente pazzi.
Per questo motivo il risultato dello studio è stupefacente. Perché inchioda le Nde sull’asse della realtà e del vissuto, spazzando via quasi tutte le suggestioni in merito a “voli pindarici” e racconti truffaldini. In pratica, secondo i ricercatori padovani i ricordi dell’esperienza ai confini della morte sono molto simili in termini psicologici ai ricordi reali, cioè ai ricordi di eventi effettivamente accaduti nella vita delle persone. Inoltre, i ricordi Nde sono risultati del tutto diversi dai ricordi di situazioni immaginate, quali, ad esempio, i sogni o le fantasie ricorrenti.
Anche dal punto di . vista dell’attivazione cerebrale rilevata con l’elettroencefalogramma, i ricordi ai confini con la morte sono comparabili a quelli reali e differenti da quelli immaginati. Dalla rilevazione Eeg, durante il ricordo dell’esperienza Nde è anche emerso un tracciato molto simile a quello registrato in altri studi durante le fasi di meditazione.
Alla ricerca hanno partecipato diversi volontari, provenienti da molte regioni italiane, i quali hanno prima raccontato la loro esperienza ai confini della morte, poi gli è stato chiesto di raccontare anche un altro episodio di vita reale vissuta e uno immaginato. A tutti è stato chiesto poi di raccontare gli stessi episodi sotto ipnosi. L’uso dell’ipnosi è stato scelto dal team padovano perché si tratta di una tecnica che, se utilizzata da uno specialista, permette di migliorare la rievocazione di qualsiasi tipo di esperienza e di definire nel dettaglio il ricordo. Durante la durata dell’esperimento ai partecipanti è stata registrata l’attività elettrica del cervello, attraverso quella che in gergo viene definita “rilevazione elettroencefalografica per bande”. Quello di cui tutti parlano, è quello di cui parlava Jung.
La scelta di pubblicare la ricerca sulla prestigiosa rivista è stata decisa anche da Bruce Greyson, considerato uno dei maggiori esperti mondiali in questo campo, che ha attribuito allo studio il massimo grado di innovatività scientifica, gratificando il team padovano che per due anni si è impegnato per trovare risposte plausibili a fenomeni non del tutto spiegabili. Questo studio infatti, è stato considerato importante nel mondo della psicologia proprio perché potrebbe essere un primo passo concreto in favore della comprensione di questo tipo di fenomeni da un punto di vista scientifico, e non solo religioso o fideistico.
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