Io, un papà sotto scorta
Soltanto la passione ci salva dai dolori di questa politica

Il presidente della Camera Gianfranco Fini con la compagna Elisabetta Tulliani Sotto, al mare con la figlia e al varo di Futuro e libertà
Ecco la testimonianza di Gianfranco Fini nel volume di Vera Slepoj
di Gianfranco Fini Più che di ferite parlerei delle conseguenze. Il rovescio della medaglia che sta all'interno della politica provoca appunto conseguenze inevitabili. È soprattutto la totale assenza di vita privata, intesa come quotidianità, che fa più soffrire. Da anni ormai vivo con una scorta fissa che mi impedisce qualsiasi normalità, è la privazione di spazi personali che può far ritenere tutto questo una ferita. Si sacrifica molto della spontaneità: anche se non lo vorrei, sono sempre investito del ruolo del personaggio pubblico, ed essere un personaggio pubblico ha delle ripercussioni sulla vita privata, affettiva, sulla famiglia. Se prendiamo i miei familiari, per mia moglie è stato più semplice perché si è sempre resa conto di condividere la sua vita con un uomo politico, mentre mia figlia si è ritrovata un «papà politico», cosa che ha avuto un impatto nella vita sociale che non aveva messo nel conto, e certamente mia figlia è sottoposta talvolta a delle prove che non sempre le rendono facile la vita sociale. È uno stato di limitazione, ormai quasi permanente. Non pensavo certamente di diventare tutto quello che sono oggi quando da ragazzino attaccavo manifesti e facevo politica solo per passione. Un dolore più che una ferita è stata invece la morte di Almirante perché veniva meno un punto di riferimento non solo politico, ma anche morale: è chiaro che la vita politica comporta momenti in cui si perde e si prova dolore, ma tutto ciò è la politica e nonostante tutto non può essere un mestiere ma una delle tante espressioni dell'attività umana e dipende dalla tua personalità essere capace di affrontare successi e insuccessi. Personalmente mi è più facile pensare agli aspetti positivi della politica, il fatto che puoi risolvere un problema, dare una speranza, una soluzione a qualcuno, non solo chiaramente al singolo. Per quanto riguarda il genere maschile non lo vedo sostanzialmente mutato, forse i ragazzi, le nuove generazioni, li trovo più problematici del passato. La mia generazione sognava di fare la rivoluzione, la convinzione dei ragazzi dell'epoca era quella di essere i protagonisti del futuro, l'ottimismo e la volontà che non avevano limiti e potevano diventare anche velleitarismo. Forse i ragazzi di oggi sono più pragmatici, più realistici, non so però se questo può voler dire una ferita generazionale. Trovo che i ragazzi di oggi abbiano un approccio diverso con l'idea di se stessi e del futuro, e il rapporto che hanno con i padri e con il principio d'autorità è forse meno conflittuale che in passato. Non vuol dire che tutto ciò sia necessariamente un fatto positivo. Trovo invece costante negli uomini politici, anche in giro per il mondo, il tipo di problematica che riguarda la vita privata: alla fine chi fa politica non riesce con facilità a sostenere gli affetti e i tempi della vita familiare. Per quanto mi riguarda tento di risolvere tutto ciò cercando di privilegiare la qualità dei tempi della quotidianità più che la quantità. Ci sono poi le ferite sociali e storiche, girando il mondo vedi per esempio degli squilibri enormi e si può dire che se il cosiddetto mondo occidentale, la parte ricca del pianeta, sentisse un po' di più il dovere di aiutare i popoli del terzo e quarto mondo, sicuramente ridurremmo un po' sofferenze e conflitti. Nella mia vita quello che mi ha emozionato di più è stato prendere in braccio mia figlia quando è nata. I rimpianti, se ci sono, tendo a rimuoverli perché tutto ciò che è vita contiene in sé tantissimi elementi di positività, e io ho avuto molto, anzi moltissimo. La mia è una personalità che tende a essere realista, mentre ritengo che il sognatore rischia di ferirsi molto di più. Essere realisti non vuol dire essere minimalisti, ma essere legati alla perseveranza, forse alla ricerca della perfezione anche se può diventare una nevrosi. A questo punto per chi fa politica è preferibile evitare le posizioni squilibrate, rigide, perché la politica è tentare di utilizzare sempre la mediazione, non ci può essere il primato dell'affermazione. Il concetto di mediazione non può però andare a discapito del mantenimento di una gerarchia dei valori, altrimenti li snatureresti. Questo chiaramente è più facile da dire che da fare. Nella politica ci sono molti luoghi comuni, il più banale è pensare che può essere un mestiere, in realtà è una passione, e se diventa mestiere rischia di diventare una dipendenza. Ci sono poi le ferite dell'ambiente, della terra, sono obiettivi che la politica si potrebbe dare, non è semplice se pensiamo al trattato di Kyoto, ma la gente ha bisogno di speranze, se togli all'uomo la possibilità di sperare in un futuro migliore, lo condanni a vivere solo nel presente. La politica è pertanto idealità anche se siamo in una fase post-ideologica, ideologia e idealità comportano notevoli differenze, finite le ideologie totalitarie del Novecento la politica deve formare nuove ideologie. Il terrorismo invece è il nuovo totalitarismo del XXI secolo, ed è una ferita aperta sull'umanità che la politica ha il dovere non solo di eliminare ma di sanare.
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