jimmy hall

Cade l’embargo contro Cuba, ma Ken Loach resiste. Questa volta a fare da sfondo alla vicenda che il regista britannico (78 anni) narra in “Jimmy Hall”, c’è l’Irlanda (un ritorno dopo “Il vento che accarezza l’erba”) verde e indipendente – ma molto divisa – degli anni Trenta. E soprattutto della lotta di classe tra braccianti e fittavoli d’un lato e proprietari terrieri dall’altro, protetti dall’arciprete locale, padre Sheridan. Finché non torna un vecchio attivista, Jimmy Gralton, e riapre un ritrovo usato come sala da ballo e palestra, osteggiata già dieci anni prima dai reazionari, che avevano costretto Jimmy alla fuga a New York. Di punto in bianco, l’apatica popolazione del luogo – indipendentemente dalla propria collocazione sociale e politica – riprende a frequentare i corsi di arte e sport e le lezioni di ballo, sino a scontrarsi di nuovo con le gerarchie cattoliche e fondiarie. Cantore di marginali e diseredati, Loach coniuga qui l’attenzione verso la classe operaia e contadina con il contrasto tra la tradizione dei balli popolari e l’arrivo del jazz di Harlem, mescolando sentimento e ironia in agrodolce per narrare senza retorica e accenti didascalici la storia dell’attivista irlandese, morto a New York nel 1945 (mi.go.).
Durata: 109’ – Voto: *** ½
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