Komatsu chiude la sede di Noventa

ESTE. Mentre sullo stabilimento di Este si rincorrono rassicurazioni e presagi, a pochi chilometri la Komatsu Italia decide definitivamente di chiudere i battenti. Lo storico stabilimento di via Bergoncino a Noventa Vicentina, infatti, verrà smobilitato entro aprile. Per anni sede della Fai, dal 1996 lo stabile noventano era sede della direzione ricambi e usato della Komatsu Italia. Qui è attiva anche un’officina. In tutto vi lavorano 24 dipendenti, per i quali nei giorni scorsi è stata siglata la mobilità nella sede di Confindustria Padova. Questi lavoratori non saranno trasferiti nella sede produttiva di Este della multinazionale giapponese, come in realtà si pensava qualche mese fa quando si è iniziato a sentir parlare della chiusura della sede di Noventa Vicentina. La decisione di cessare l’attività in quell’azienda, che era arrivata a toccare anche i cento dipendenti (molti provenienti anche dalla Bassa Padovana), si è materializzata dopo la scelta di Komatsu di trasferire a concessionarie autonome esterne le attività legate alla post-produzione, dalla vendita al noleggio, passando per la ricambistica e la manutenzione. Per i 24 lavoratori di Noventa non è stato possibile attivare la cassa integrazione in deroga a causa delle nuove disposizioni di legge, che non ne consentono il ricorso a questo ammortizzatore sociale alle aziende in procinto di chiudere i battenti.
A Este intanto la situazione rimane stabile, con i circa 350 lavoratori alle prese con la cassa integrazione a rotazione che terminerà a marzo. Quasi tutti i dipendenti atestini, sostanzialmente, partecipano a un piano che prevede una settimana lavorativa con un fermo dell’attività di uno o due giorni settimanali: nei giorni di assenza del lavoro (quasi sempre il venerdì, spesso anche il giovedì), gli operai accedono alla cassa integrazione. Diverso è il discorso per i 56 dipendenti che fino a dicembre erano impegnati nella logistica e nel settore dei trasporti per la Komatsu. Con l’affidamento dell’appalto alla nuova società (dalla cooperativa Ceva-Intercoop alla società Cal di Milano), i lavoratori riassunti sono stati solo 41. «Speravamo che tutti e 56 i lavoratori venissero reintegrati» spiega Romeo Barutta della Filt Cgil «Era sufficiente spalmare il carico di lavoro su tutti i dipendenti, abbassando sì lo stipendio, ma garantendo lavoro per tutti. Invece si è preferito assicurare lavoro pieno, lasciando a casa 15 persone, che in questo caso non possono neppure accedere agli ammortizzatori sociali. Aspettiamo un intervento del ministero del Lavoro».
Nicola Cesaro
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova