La cintura urbana è terra di Paperoni

PADOVA. La città che scorre e scivola dentro la periferia metropolitana, senza soluzione di continuità, dove la terra se l’è mangiata il capannone sorto accanto alla casetta del “paron”, dove nelle distese di campi in cui prima germogliavano l’erba e il grano sono spuntate decine di aziende e ci sono più cartelli con le insegne delle ditte che alberi. Da Padova a Cittadella non si vede quasi la fine dell’abitato e facendo il girotondo in tangenziale attorno a Padova è solo perché trovi il cartello che ti indica che sei entrato in un nuovo Comune che ti accorgi di aver cambiato paese. È qui che si concentrano le aziende, qui gli studi professionali, qui le sedi degli istituti di credito che custodiscono conti correnti a sei cifre.
È la terra dei Paperoni padovani, di quelli che non hanno problemi a dichiarare al fisco che loro, nel 2015, hanno guadagnato oltre 120 mila euro. Le zone industriali e i grandi edifici a vetri impenetrabili partono da Camin, sì, ma si estendono ad Albignasego e fino a Cadoneghe, scorrendo lungo la Valsugana fino a Cittadella, correndo lungo la regionale 11 fino a Vicenza. Perché? «La nascita delle zone industriali ha in primis una spiegazione geografica», commenta Enzo Romaro, presidente Confindustria Ovest-Colli e amministratore di Unimec Triveneto srl, con sede a Mestrino. «Negli anni Sessanta la cintura metropolitana era vuota e offriva lo spazio per i nuovi capannoni industriali, insieme alla vicinanza alla città e alle grandi vie di comunicazione, spesso lontana dai fiumi, che creano sbarramenti più che opportunità. Non ci sono, però, solo industriali: nella zona dei Colli l’economia l’hanno trainata ad esempio gli imprenditori vitivinicoli, nell’area termale gli albergatori».
Con il tempo la fabbrichetta con il proprietario che ci dormiva sopra e che mangiava insieme agli operai ha ceduto il posto a realtà imprenditoriali importanti e il “paron” ha traslocato in periferia, lontano appena quel tanto da non essere soffocato dal suo cemento, ma vicino alla sua creatura. «A parte ville padronali di famiglie storiche», spiega il sindaco di Noventa Padovana, Luigi Alessandro Bisato, «nel nostro Comune sono venuti ad abitare industriali che hanno l’attività a Padova, così come professionisti e consulenti che lavorano in città perché trovano una qualità di vita diversa e un’ariosità nell’edificato che in altri Comuni è scomparsa».
Perfino il campione Alex Zanardi ha scelto Noventa quando si è trasferito nel Padovano. Diverso il discorso per l’Alta Padovana, fucina di imprenditori e di grandi aziende, che lo sviluppo l’ha avuto grazie alla vasta concentrazione di risparmi e capitali: è la culla delle banche di credito cooperativo e ha visto i contadini trasformarsi in industriali: negli anni Sessanta fondarono le ditte, che i figli negli anni Ottanta trasformarono in imprese ed imperi. Si delocalizza la manodopera altrove, si mantiene però la sede in loco.
«L’Alta Padovana conserva una buona attività aziendale, mantiene le imprese in Veneto, gli imprenditori vi lavorano bene e pagano qui le tasse» dichiara Andrea Gabrielli, alla guida dell’azienda siderurgica fondata da papà Angelo.
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