La forza del ministro e la disperazione a bordo


"Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo". Così la comandante della Sea Watch, Carola Rackete. SEA-WATCH.ORG +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO? ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L?AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++
"Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo". Così la comandante della Sea Watch, Carola Rackete. SEA-WATCH.ORG +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO? ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L?AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++

È violentissimo lo scontro tra la Sea Watch e il ministero degli Interni. La Sea Watch ha con sé la forza dei disperati che si porta a bordo, gli altri disperati che guardano da tutta l’Africa, il coraggio della capitana tedesca, la passione delle sinistre di tutto il mondo. Ma tutto questo potere, mediatico e politico e morale, la Sea Watch lo vede colpito e sminuito da una sentenza internazionale inattesa e decisa della Corte Europea dei Diritti Umani, alla quale i migranti si erano appellati perché gli riconoscesse il diritto ad approdare, scendere dalla nave, venir ricoverati e curati.. La Corte Europea ha detto no.

Il grandissimo fatto nuovo è quel “no”. Per i migranti è stato un pugno nel petto. Non se l’aspettavano. Neanche noi. Eravamo abituati a una situazione incancrenita così: migranti che arrivano illegalmente, evitano Libia, Tunisia, Malta e puntano verso l’Italia. L’Italia avverte che non li vuole, li invita ad andare verso l’Olanda, visto che la nave batte bandiera olandese, o verso la Germania, visto che la ong e il comandante della nave sono tedeschi. Ma la nave vuole l’Italia. Arrivata alle acque territoriali italiane, chiede di entrare nel nostro porto e sbarcare tutti. Il Viminale risponde no.

Allora comincia la crudele trattativa: abbiamo tot donne incinte, tot bambini piccoli, stanno male, venite a prenderli. A questa richiesta il ministro cede. Ma poi la trattativa prosegue, disumana: gli altri sono sfiniti, alcuni dan di matto, minacciano di buttarsi, di tagliarsi i polsi, fateci sbarcare. È a questo punto che esce la sentenza della Corte dei Diritti Umani: l’ong non ha diritto di portare in Italia il suo carico umano e l’Italia non ha il dovere di accoglierlo. Umanità vuole che l’Italia aiuti chi soffre, ma l’accoglienza è un’altra cosa. Ed è una svolta enorme. Salvini l’accoglie come una vittoria, giustamente. La ong l’annuncia come una sconfitta, giustamente. Ma la nave non può accettare questo blocco: i suoi uomini li deve scaricare tutti, prima che si sentano male. E così ha sfondato il confine ed è entrata in acque italiane “da nemica”, con un atto di guerra. Come in guerra, Salvini ribatte che la difesa dei confini è sacra.

Siamo arrivati dove nessuno voleva arrivare. La forza degli eventi, mal dominati, ha trascinato Salvini e la Sea Watch a una prova di forza che nessuno dei due può perdere. Non può perderla Salvini: il suo potere è monolitico, un crepo lo incrina. Non può perderla la Sea Watch: se arrestano l’equipaggio e la capitana e sequestrano la nave l’intero sistema delle immigrazioni contro la volontà degli Stati va in crisi. Inizialmente eran possibili altre soluzioni. Alla fine lo scontro è tra la forza (Salvini) e la disperazione (i migranti). Chi è più forte, tra forza e disperazione? A sorpresa, la più forte ieri sera pareva la disperazione. —

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