La lunga crisi di Giurisprudenza a Padova: cause e possibili soluzioni

E se a fallire invece che un’azienda fosse una facoltà universitaria? Non una qualsiasi di una qualsiasi università, non un azzardato corso sperimentale. Qui si parla di quella che, forse - non fosse che ne ha costituito il nucleo fondativo nel 1222 come Universitas Iuristarum - è la più prestigiosa delle facoltà dell’Università di Padova: Giurisprudenza.
Giurisprudenza che segna il passo. Anche quest’anno le immatricolazioni, chiuse una decina di giorni fa, mostrano un calo di iscritti. Ed è una china intrapresa ormai da due lustri, dieci anni con il problema evidente sotto gli occhi di molti, ma trascorsi senza che alcuno scossone invertisse, o provasse a invertire, la rotta. È pur vero che le professioni forensi hanno perso il mordente
di un tempo e che sono anche meno remunerative. Ma non basta a spiegare la crisi profonda che attanaglia la facoltà. numeri in picchiata I numeri parlano da soli e non richiedono fini analisti per trarne conclusioni. Per questo anno accademico si sono iscritti a Giurisprudenza a Padova 293 ragazzi.
L’anno scorso le immatricolazioni erano state 324, quindi in un solo anno si registra una flessione del 9,5 per cento. Uno sguardo ancora più indietro non fa che alimentare il pessimismo. Tra il 2009 e il 2015, per esempio, le matricole di Giurisprudenza sono passate da mille a 433, con un calo del 57 per cento.
Una facoltà che si è vista più che dimezzate le iscrizioni, che perde appeal e invecchia male, preferita a tante altre concorrenti: da Treviso a Bologna, da Trieste a Trento, da Verona a Udine. È pur vero che il dato nazionale tradisce un andamento decrescente generalizzato per iurisprudenza, tanto è vero che negli ultimi anni gli iscritti sono passati, tenendo conto di tutte le università italiane, da 29 mila a 18 mila, con un calo che sfiora il 40 per cento. Ma il calo non è omogeneo dappertutto e Padova nella classifica delle Scuole di diritto, è fra quelle che, quanto a numeri, se la passa molto peggio di altre.
Nessuno può mettere in discussione la qualità degli insegnamenti al Bo. Chi si laurea in Legge a Padova da sempre può farsene vanto. Perché la severità e il rigore sono più che risaputi. Come è risaputo che talvolta questi atteggiamenti raggiungano una connotazione estrema, un quasi ostruzionismo” in cui si annida, più che altrove, l’origine e la causa dello scoraggiamento di tanti studenti.
Oltre la metà abbandona il corso, spesso per cambiare università, tra il secondo e il terzo anno. Ma ci sono anche casi, e non così isolati, di chi lascia Padova per sostenere altrove l’ultimo esame.
Le statistiche raccontano di taluni esami che hanno un tasso di bocciature che sfiora il 50 per cento. Uno studente su due non azzecca le risposte nemmeno per sfilare al prof un 18. Quindi non sorprende troppo, per esempio, che su circa 12 mila studenti fuoricorso in tutto l’ateneo, più di mille siano iscritti a Legge, o che appena il 5 per cento degli studenti consegua la laurea in Giurisprudenza in cinque anni.
Più in generale, la velocità di conseguimento della laurea in Giurisprudenza pone la Scuola padovana in coda alla classifica nazionale, al sessantottesimo posto su 78. cambiare per non morire Il rischio è che Giurisprudenza cada vittima della sua stessa fama.
«Oggi il modo di fare il giurista non è quello di una volta» commenta Patrizia Marzaro, direttrice del Dipartimento di Diritto pubblico, «è necessario un aggiornamento sia degli insegnamenti e della didattica sia dell’organizzazione. Dobbiamo trovare percorsi più vicini alle esigenze degli studenti, che non significa arretrare sulla qualità. Riceviamo sistematicamente riconoscimenti per la preparazione dei nostri laureati che hanno un tasso di promozione nei concorsi di magistratura superiori a molte altre università. Ma i cambiamenti su istituzioni così complesse richiedono tempi di attuazione lunghi».
Marzaro presiede anche il comitato ordinatore del corso di Giurista internazionale di diritti d’impresa, attivo a Treviso: «Un corso “moderno”, che risponde alle esigenze di un mondo del lavoro che è cambiato e si è internazionalizzato» conferma Marzaro, «e qui le immatricolazioni sono in aumento».
QUI TRENTO
A Trento quasi il doppio di matricole di Padova
Non vanta nemmeno un decimo della storia e della tradizione di quella padovana fondata nel 1222, eppure la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento - nata nel 1984 - surclassa il Bo per numero di iscritti. Le immatricolazioni sono quasi il doppio. I punti di forza: un corso di laurea tutto in lingua inglese e una decisa propensione verso il diritto comparato e l’internazionalizzazione. E la Scuola di Legge di Trento è anche un bacino di approdo per un numero non esiguo di studenti padovani.
In parte che scelgono la facoltà trentina per il piano di studi a forte carattere transnazionale, in parte perché “scappano” dal rigore dagli esiti talvolta penalizzanti del Bo. E del resto la crisi di Giurisprudenza a Padova non se la nasconde nessuno. Il direttore del Dipartimento di Diritto privato, il professor Giuseppe Amadio ammette: «È ora di rimetterci in discussione».
Una posizione in continuità, con sfumature diverse, con i colleghi Mario Bertolissi, Umberto Vincenti e Patrizia Marzaro che sulla necessità di “smuovere” la Scuola di Diritto di Padova si sono già espressi. confronto sui numeri Trento fa meglio di Padova, si diceva. La facoltà di Giurisprudenza trentina ha il numero chiuso a 500 iscrizioni l’anno. Quest’anno le matricole al 31 ottobre erano 496, sei in più rispetto allo scorso anno, consolidando un trend di lungo corso.
A Padova quest’anno sono appena 293, cifra ancor più dolorosa se si pensa alle mille matricole di dieci anni fa. Un altro elemento: Trento scippa studenti dal bacino padovano. Sono complessivamente 141 gli studenti che studiano Diritto a Trento ma che hanno la residenza a Padova o in provincia di Padova.
Tra questi ce n’è sicuramente una parte che ha scelto la scuola trentina per le opportunità di un piano di studi più orientato all’internazionalizzazione, ma non si può non immaginare che un’altra parte abbia invece fatto una scelta ispirata in primis dalla volontà di non iscriversi a Padova. Circostanza che viene in qualche modo confermata dal numero di studenti di Giurisprudenza del Bo che si sono trasferiti a Trento: erano 41 l’anno scorso, sono 31 quest’anno.
Non sorprende che il numero più alto - rispettivamente 32 e 21 per i due anni - si riferisca a studenti fuori corso.Della necessità di riorganizzare la Laurea in Giurisprudenza a Padova è convinto Giuseppe Amadio, direttore del Dipartimento di Privato e ordinario di Civile.
«Che Padova sia una sede impegnativa è certamente vero ma ritengo che questo sia un pregio. Va detto anche che la scuola superiore di oggi non prepara i ragazzi come una volta e il gap talvolta è penalizzante. Il problema è l’allungamento dei tempi di laurea al quale si dovrebbe porre rimedio con una riforma strutturale. Abbiamo troppi esami, bisognerebbe ridurli, passare dai trenta attuali a non più di 22, con più crediti. Allora si potrebbero dividere in moduli con prove intermedie».
Ridurre gli esami significa anche dare una sfoltita alla selva di corsi facoltativi, ovvero quelli non obbligatori ma che possono essere inseriti nel piano di studi per completare i crediti. «Ci sono due aspetti da considerare» rileva Amadio, «da una parte l’ampia offerta che va a vantaggio delle competenze che possono acquisire gli studenti, dall’altra un rischio dispersione. Ma la virtù, anche in questo caso, evidentemente sta nel mezzo».
Il professor Amadio suggerisce di prendere con le pinze e buona dose di critica le percentuali “sventolate” sui presunti tassi di bocciatura agli esami di Giurisprudenza. Un po’ di “amor patrio” trapela nell’analisi - visto che gli esami-incubo su cui si arena la carriera di molti studenti sono proprio Diritto privato e civile - ma va anche oltre.
«Non esiste alcuna statistica ufficiale dei tassi di bocciatura. Infatti finiscono nella stessa percentuale sia i bocciati che coloro che si ritirano dall’esame senza nemmeno presentarsi. I numeri veri li può raccogliere ciascun professore partendo dal numero di iscritti all’esame e raffrontandolo con quello dei compiti che corregge. Questo è quello che abbiamo fatto per Civile e Privato, spesso additati anche dai colleghi, e il risultato è che negli ultimi due anni il tasso di promozione e quello di bocciatura si sono invertiti. Dal 60 per cento di bocciati siamo passati a un 65 per cento di promossi. E non perché si sono allargate le maglie a scapito della qualità, ma con un cambio di atteggiamento. Per questo ritengo che il vero nodo sia la riorganizzazione, ma per farla è necessario che tutti siano disposti a rimettersi in discussione, accettando anche le conseguenze».
QUI BOLOGNA
Apertura internazionale e imprese: così Bologna cresce
Se Giurisprudenza a Padova se la passa peggio di una facoltà giovane come quella di Trento (496 matricole quest’anno), non se la passa meglio nemmeno se raffrontata a una Scuola di Diritto di cui condivide l’origine medievale e la lunga tradizione, ovvero Bologna. Negli ultimi due anni ha visto aumentare le immatricolazioni: da 1.533 a 1.695.
Quest’anno, senza dati ufficiali, si prevede una lievissima flessione. Gli iscritti complessivi sono poco meno di ottomila. La Scuola di Scienze giuridiche, di diretta dal professor Michele Caianiello dallo scorso maggio, conta due sedi - Bologna e Ravenna - quattro corsi, 146 docenti. La Qs World University Ranking la posizionava nel 2017 al 47esimo posto al mondo e al primo posto in Italia.
E Bologna è uno dei porti di attracco per un numero non indifferente di studenti che fuggono da Padova. «Un fenomeno noto, più evidente nella sua dimensione una volta, quando si vedevano i libretti di diverso colore degli studenti» rileva Caianiello, «oggi non saprei stimarlo».
Bologna non soffre e i motivi sono più di uno. «In generale ritengo che i numeri di Bologna siano incentivati anche dalla sua posizione geografica, più centrale, e questo da sempre. Se devo invece fare una riflessione sul piano dei contenuti» continua il presidente della Scuola, «credo che i buoni risultati che stiamo raccogliendo siano il frutto di un lungo processo di internazionalizzazione intrapreso da diversi anni».
Bologna offre ai suoi studenti di Giurisprudenza quattro doppi titoli: possono laurearsi con Parigi-Nanterre, il King’ s College di Londra, la Tilburg University olandese e la Universidad Complutense di Madrid.
«Si fanno tre anni qui e due nella sede estera» sottolinea Caianiello, «sono corsi che vanno molto bene, scelti da studenti motivati e che ottengono ottimi risultati. Stiamo lavorando a una laurea magistrale in Legge interamente in lingua inglese. L’internazionalizzazione è una strada che paga in termini di job placement: giovani laureati con buoni voti, conoscenza delle lingue e capaci di muoversi tra diversi ordinamenti giuridici non fanno difficoltà a trovare un lavoro». la crisi delle professioni forensi Meno appetibili sono le tradizionali professioni forensi.
«Non più del 20% dei nostri laureati» conferma il professore, «sceglie questa strada. Allora diventa inevitabile scommettere su forme di giurista nuove. Da noi vanno molto bene due triennali, Consulente del lavoro e Giurista d’impresa: c’è anche una sinergia con il territorio e il suo tessuto produttivo, c’è quindi uno scenario molto concreto in cui lo studio si inserisce. E l’idea di fondo è che dobbiamo guardare al bisogno dello studente, quello è il faro che deve illuminare la programmazione di un corso di studi».
Secondo il presidente della Scuola di diritto bolognese Giurisprudenza ha un futuro pieno di opportunità. Sapendole cogliere, ça va sans dire. «Io vedo un grande margine di crescita per gli studi giuridici, sempre che si sappia presentare una nuova figura di giurista, che sappia andare oltre il dato formale e l’interpretazione della legge.
Più che risolvere liti, bisogna saperle prevenire, saper indirizzare le scelte strategiche. È una visione orientata più in senso imprenditoriale ed empirico. In questo senso immagino anche figure “ibride” di giuristi-economisti: sono competenze che spesso sono richieste insieme». Un pensiero su Padova: «Non entro nel merito della questione “crisi”» anticipa Cianiello, «ma posso assicurare che il valore di Giurisprudenza al Bo è fuori discussione, ci sono colleghi eccellenti e ottimi rapporti di collaborazione».
BERTOLISSI
Bertolissi: “Problema arcinoto ma non si vuole intervenire”

A porre la questione della crisi di Giurisprudenza nei corridoi del Bo, tutto si ricava fra le reazioni tranne che la sorpresa. Non tanto e non solo nel considerare i numeri poco edificanti e ancor meno promettenti delle ultime immatricolazioni, quanto nello scoprire che sono in molti a indicare senza indugio le cause profonde del malessere.
Una parte della classe docente ancorata a vecchi schemi e autoreferenziale, guerre di successione, un clima da faida interna su cui verte parte dei rapporti tra il Dipartimento di Diritto pubblico e quello di Privato. Non solo. Il dito è puntato contro un’organizzazione che andrebbe rivoltata come un calzino. malattia grave Giurisprudenza è un malato grave secondo Mario Bertolissi, ordinario di Diritto costituzionale.
«Sa cos’è più grave?», dice mentre accompagna un gruppo di trenta meritevoli studenti a Roma per seguire le udienze della Corte costituzionale, «è che invece di cercare la medicina, si gioisce perché il medico salta la visita. Sui dati negativi mi sorprenderei di essere sorpreso. Sono dati arcinoti e non da oggi. I provvedimenti da assumere sono dolorosi, qui non bastano i pannicelli caldi».
«Le cause», insiste Bertolissi, «sono profonde, servono decisioni dure per responsabilizzare il corpo docente. Basta con la tesi dei più bravi: se non abbiamo iscritti allora vuol dire che non sappiamo vendere l’oro. Sono anni che si chiedono dei correttivi ma non è stato fatto nulla». organizzazione nel mirino «Non ha alcun senso un corso unico con due Dipartimenti, tanto più con i numeri esigui di studenti che registriamo» interviene Umberto Vincenzi, ordinario di Diritto romano e già presidente della Scuola di Giurisprudenza.
«Il calo di studenti è preoccupante ed è un suicidio stare a guardare senza reagire. Ci sono due cose da fare: cambiare l’organizzazione, creare un Dipartimento unico. Oggi fra colleghi dei due Dipartimenti spesso neanche ci si conosce: un assurdo, dal momento che si gestisce un corso unico. Ma serve anche un cambio di passo sul piano etico», incalza il docente.
«Mettere al centro l’interesse degli studenti, non la tutela delle posizioni, delle rendite e dei privilegi, l’autoconservazione, la tutela corporativista contro l’interesse pubblico. Certo», ammette Vincenzi, «c’è qualche problema che forse ha un nome e cognome, ma non è tutto lì. Si ereditano problemi del passato, radicati, inaspriti da una legge (la Gelmini, ndr) scellerata, per lo più applicata senza alcun buon senso».
Il fatto è che non è l’iniziativa del singolo che può smuovere le cose. «Chi amministra questo ateneo ha il dovere di intervenire: Giurisprudenza avrà un futuro solo se ci sarà la volontà di assumere decisioni pesanti».
PARLA ZACCARIA
Zaccaria: “La svolta deve partire dal rettore”

Il tono è pacato, l’analisi lucida e senza sconti. Per nessuno. Giuseppe Zaccaria, rettore dell’Università di Padova che ha preceduto l’attuale, Rosario Rizzuto, Giurisprudenza la conosce bene. È la sua facoltà. Il Diritto lo ha accompagnato in tutta la sua carriera accademica, dalla laurea con lode conseguita al Bo, allo scranno più alto dell’Ateneo.
La sua analisi della crisi di Giurisprudenza, che si legge nel crollo delle immatricolazioni passate dalle mille di dieci anni fa alle 293 di quest’anno, chiama in causa un po’ tutti. La facoltà in senso ampio, intesa come governance generale, i professori, la “regia” dell’università. E per il futuro non è così ottimista, ma ansioso di essere smentito.
Professore da dove parte secondo lei la crisi di Giurisprudenza?
«Gli strumenti e le categorie del diritto sono cambiati e hanno subìto una evoluzione negli ultimi 30, 40 anni, ci sono stati rinnovamenti profondi, basti pensare al Diritto tributario. E poi si è rivoluzionato il sistema delle fonti, derivante da due fenomeni: da una parte le Costituzioni del Dopoguerra, dall’altra la crescente rilevanza delle fonti sovranazionali, del diritto internazionale, e dell’Unione Europea. Questi cambiamenti hanno trasformato il diritto e non più il legislatore, quanto invece il giudice è diventato figura centrale. In generale le facoltà di Giurisprudenza non sono riuscite ad avviare un aggiornamento della professione giuridica adatta al nuovo scenario. Si è più schiavi delle “mode” del momento».
Questo vale però per tutti gli Atenei. Cosa ha penalizzato Padova?
«Padova vive in modo particolarmente forte il problema per una serie di motivi anche risalenti ai decenni passati. Giurisprudenza ha sempre avuto la connotazione di severità ma anche un forte tradizionalismo. Un approccio tradizionale tale da dare una grandissima preparazione ma con scarsa apertura alle novità». Altre Facoltà, come Trento o Treviso, hanno puntato sull’internazionalizzazione.
Perché Padova no?
«Un serio programma di internazionalizzazione è stato avviato solo pochi anni fa, si sconta un grave ritardo rispetto ad altre università. Non si è forse creduto abbastanza nel valore e nell’importanza dei rapporti internazionali nella formazione del giurista di oggi e di domani».
Basta questo per spiegare la crisi?
«Non voglio fare alcuna polemica, ma devo dire che permane in talune aree una serie di atteggiamenti anacronistici nei rapporti con gli studenti, sia dal punto di vista personale, su un piano talvolta di rigidità e formalismo, ma anche nell’organizzazione, come gli appelli o le modalità di esame. Sono elementi che non vanno sottovalutati perché allontanano i ragazzi».
Serve un cambio di atteggiamento, quindi. E i contenuti?
«Ci vuole il coraggio di scommettere su corsi diversi, più professionalizzanti, come si è fatto a Treviso, senza nulla togliere al valore della laurea tradizionale». Secondo lei Giurisprudenza a Padova ha le potenzialità per risollevarsi? «In parte ci sono, ma servono due elementi: una forte coesione e una iniziativa politica di Ateneo, del rettore e dei direttori di Dipartimento. Ma al momento è uno scenario che vedo improbabile, anche se non lo escludo».
È una visione piuttosto pessimistica che addita anche delle precise responsabilità...
«Rispondo con un esempio: quando si è aperta la sede di Treviso si è scelto di collocare lì buona parte dei giovani professori. Lo abbiamo visto anche prima: negli anni Ottanta i nuovi professori padovani dovevano andarsene, molti sono finiti a Ferrara perché a Padova trovavano le porte sbarrate. È una storia che si ripete, e non è una bella storia».
Gli studenti: esami pesanti e pochi appelli
«La fama di Giurisprudenza a Padova mi era nota e qui sono venuta perché non avevo scelta: non potevo permettermi un alloggio fuori sede, quindi faccio la pendolare. Difficile? Certamente sì, ma non impossibile. Il problema più grande è l’organizzazione. Pochi appelli e esami troppo grossi che si concentrano tutti in due settimane. Basterebbe partire da qui per migliorare la situazione».
A parlare è una studentessa del terzo anno. Con lei ci sono altre due coetanee: «È vero che ci sonoesami più ostici di altri, in corso con noi ci sono studenti che non hanno ancora passato Privato che è del primo anno. E non sono casi isolati».
Terza voce, un aspirante magistrato: «Ho sempre saputo che se avessi scelto Giurisprudenza l’avrei fatta a Padova: sarà anche dura ma la preparazione è fuori discussione». Niente di nuovo sotto il sole o, meglio, nel cortile del Bo. Anche le valutazioni degli studenti replicano quelle dei docenti, ovviamente sul fronte opposto. qualcosa è cambiato Il sindacato Studenti per-Udu da anni si fa latore a ogni livello di rappresentanza delle criticità di Giurisprudenza e di proposte per migliorarlo.
«Vogliamo partire da quello che finora è stato fatto» intervengono i rappresentanti degli studenti, «nel giugno 2017 è stato approvato dal Consiglio di corso un aumento degli appelli ordinari d’esame da 6 a 7, adeguandolo a quello della maggior parte dei corsi giuridici degli altri atenei italiani. L’accoglimento di questa nostra storica rivendicazione è stato un notevole passo avanti dopo anni di immobilismo, ma non è sicuramente sufficiente a colmare le lacune organizzative e didattiche.
"Lo scorso dicembre il corpo docente ha proposto un nuovo assetto del Manifesto degli Studi, spostando la collocazione di alcuni esami e garantendo il riconoscimento degli esami internazionalistici svolti all’estero. Nello stesso periodo sono stati previsti aumenti del punteggio finale di laurea per gli studenti che hanno superato esami con lode o che hanno svolto un’esperienza Erasmus. Non possiamo negare che lo sforzo di migliorare il corso vi sia stato».
Un anno e mezzo fa è stata presentata dal Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari al Miur una proposta di riforma nazionale del corso di Giurisprudenza che si prefigge di ridurre il numero di crediti vincolati, aumentando il numero di corsi a scelta degli studenti così da poter personalizzare maggiormente il proprio percorso.
Quest’anno, ricorda sempre Udu, la Scuola di Giurisprudenza ha firmato l’intesa con l’ordine degli Avvocati di Padova e di Treviso per consentire agli studenti di anticipare di sei mesi l’attività di praticantato rispetto alla laurea.
Appelli straordinari fuori sessione per studenti fuori corso e lavoratori, lezioni registrate in podcast e quindi sempre accessibili, più tutoraggio, riflessione sulle valutazioni di alcuni esami, revisione dei crediti, stop all’abuso di esami scritti e orali: sono alcune delle proposte che Udu mette sul piatto.
«Ci poniamo in maniera positiva, cercando la collaborazione con proposte concrete» conclude Virginia Libero, rappresentante in consiglio di corso di Giurisprudenza e in Senato Accademico, «è nell’interesse di tutti che Giurisprudenza inverta la tendenza, aumentando gli iscritti e accorciando i tempi di laurea».
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