La rivincita del soldato Ruffini sul generale “serial killer”

I buoni motivi di Noventa e la campagna per togliere il nome di Graziani dalla toponomastica nazionale
Non che ci sia da perderci il sonno ma giusto per concludere in gloria l’anno del centenario della Grande Guerra, togliere il famigerato nome del famigerato generale Andrea Graziani dalla toponomastica italiana sarebbe azzeccato.
La proposta, arrivata da un gruppo di Comuni in Friuli, è stata fatta propria da Noventa che ha i suoi buoni motivi di memoria per detestare quel serial killer di Graziani.
 
Altri tempi, quanto gli intitolarono le strade (oggi ne sono rimaste gran poche), era medaglia d’oro, d’argento e di qualsiasi altro metallo il generale Graziani: era uno degli “eroi” della Prima Guerra Mondiale e lo è stato a lungo, in tempi in cui la censura vietava di parlare del macello che è stato il conflitto, delle responsabilità dei generali, tempi in cui a cantare “Gorizia” («qui si muore gridando assassini, maledetti sarete un di’...» il riferimento è ai signori della guerra, ai vigliacchi che se ne stanno «con le mogli sui letti di lana, schernitori di noi carne umana...») si rischiava la galera.
 
Diciamo che ora quei tempi sono un tantino cambiati ma non è mai troppo tardi per rendere giustizia a quel disgraziato di Alessandro Ruffini, 23 anni, originario di Castelfidardo (Ancona) in servizio nella decima Batteria del primo Reggimento di artiglieria di montagna.
 
È il 3 novembre 1917, sono le 16.30: in piazza a Noventa il generale Graziani vede sfilare una colonna di artiglieri di montagna. Scrive l’“Avanti!” il 28 luglio del 1919, che sul caso montò una campagna: «Un soldato, certo Ruffini, lo saluta tenendo la pipa in bocca. Il generale lo redarguisce e scaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti.
 
Un borghese interviene ed osserva che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale infuriato risponde: “Dei soldati io faccio quel che mi piace” e per provarlo fa buttare il Ruffini contro un muricciolo e lo fa fucilare immediatamente tra le urla delle povere donne inorridite. Poi ordina di farlo sotterrare: è un uomo morto di asfissia. Punto e chiuso. E, salito sull’automobile, riparte».
 
Un tipo così, dalle decisioni rapide, diciamo. Il borghese che protesta è il commendatore Giorgio Suppiei, consigliere comunale di Noventa ed ex presidente della Camera di Commercio oltre che proprietario della casa di fronte alla quale si sta svolgendo l’infausto fatto: racconta sempre all’Avanti! nel 1919 che Graziani «gli intimò di tacere pena la fucilazione anche per esso!».
 
E mica Ruffini fu l’esito di una giornata storta del “generale fucilatore”: la storia di Graziani è piena di esecuzioni , solo 49 durante la ritirata di Caporetto. Tra loro 4 Zappatori del 221° Reggimento Brigata Jonio che tornarono, unici vivi il 21 maggio 1916 dal fronte: Graziani li vide, ordinò loro di scavare una buca, poi li fece legare assieme e di suo pugno li fucilò. Perché erano tornati vivi, il loro dovere non l’avevano fatto. —
 
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