La scienziata svela il segreto della morte improvvisa negli atleti

CITTADELLA. Più di 850 casi di morte improvvisa, 90 atleti competitivi studiati nel centro: sono alcuni dei numeri che raccontano le sfide dell’Unità di Patologia cardiovascolare dell’azienda ospedaliera di Padova, diretta dalla cittadellese Cristina Basso.
La professoressa si è occupata di alcuni casi eclatanti – quello del capitano della Fiorentina Davide Astori e del giovane atleta di Padova David Cittadella – ed è stata ospite della serata promossa dai Lions di Cittadella in Interclub con il Panathlon della città murata e i Lions di Piazzola e di Padova Graticolato Romano.
Un’occasione preziosa per fare chiarezza sul tema dei rischi legati alla pratica sportiva: «I dati a inizio 2000 davano una mortalità giovanile improvvisa tre volte maggiore negli atleti rispetto ai non atleti di pari età: fra gli atleti 2, 3 ogni 100 mila all’anno, fra i non atleti 0, 9», ha spiegato Basso.
Il chiarimento: «Questo non significa che lo sport fa male, ma se c’è una malattia sottostante (un tallone di Achille nel cuore) l’atleta è esposto ad un rischio tre volte maggiore rispetto a chi non fa sport».
«Mens sana in corpore sano» rimane un adagio che non passa di moda e lo sport è sempre connesso alla salute. Il lavoro di questi anni ha invertito i dati sulla morte improvvisa che «si sono nettamente ridotti negli anni nella popolazione degli atleti fino a diventare inferiori a quelli dei non atleti, perché il sistema di visita obbligatoria all’idoneità sportiva consente di identificare nella maggior parte dei casi le malattie a rischio», sottolinea Basso.
Un sistema di screening cardiologico «che ci invidiano in tutto il mondo, anche se non esportabile perché economicamente non supportabile da alcuni sistemi», basti pensare agli States. Elettrocardiogramma di base e da sforzo, eventuale test di secondo livello, e poi eco e risonanza magnetica che «sono quasi sempre risolutivi».
«Queste malattie», sottolinea la cardiologa, «oggi vengono studiate anche dal punto di vista genetico e in molti casi la morte di un giovane ha permesso di salvare la vita di altri familiari».
Qual è il problema più frequente? «Negli atleti master rimane come causa principale la aterosclerosi coronarica che si pensa sia tipica solo dell’adulto anziano. Familiarità, fattori di rischio – sovrappeso, fumo – vanno indagati bene e l’atleta deve essere sottoposto a test che possano evidenziare una ischemia latente».
La frontiera della ricerca è la rete tra competenze: «Istituire hub di riferimento per lo studio delle cardiopatie aritmiche geneticamente determinate dove lavorino esperti di team multidisciplinari, dalla cardiologia alla genetica e alla patologia».
Nel frattempo «defibrillatori ovunque». «Questa”, conclude Basso, «è la parola d’ordine del disegno di legge approvato a luglio e ora al Senato. All’estero sono più avanti di noi, ma è un progetto possibile e vincente anche in Italia». —
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