La storia dei novemila banchi a rotelle finiti nei magazzini delle scuole del Veneto

VENEZIA. I banchi con le rotelle? Sono finiti quasi tutti in soffitta o nei magazzini delle scuole del Veneto, perché fanno male alla schiena: dopo un paio d’ore iniziano i dolori, la tavoletta d’appoggio è troppo piccola e non consente di scrivere e sfogliare un libro in tranquillità.
Posizione ergonomica da rivedere, la scoliosi è in agguato. Sono perfetti per i convegni che durano un paio d’ore, per posare il tablet e il pc, ma inutili per chi deve stare in classe 5- 6 ore al giorno senza muoversi, rispettando il metro di distanza fra le “rime buccali”, spiega Sandra Biolo, segretaria regionale della Cisl scuola.
Consegnati con grande ritardo e annunciati dalla ministra Lucia Azzolina come una storica novità dal dopoguerra, rischiano di diventare un clamoroso flop, su cui anche la Corte dei Conti ha chiesto dei chiarimenti.
La gestione degli appalti è stata affidata al commissario Covid Domenico Arcuri, che nell’agosto scorso ha fatto un bando per 2.013.656 banchi e 435.118 “sedute innovative” con prezzi che oscillano da 150 a 300 euro l’uno.
Sono perfetti per gli studenti delle superiori, purtroppo inutili per i ragazzini delle medie. Così pare. Il grido di dolore si è levato venerdì scorso quando la sovrintendente scolastica del Veneto Carmela Palumbo ha convocato il prefetto di Venezia, le assessore regionali Elisa De Berti ed Elena Donazzan e i segretari di Cgil Cisl Uil e Snals.

Tema: la riapertura delle superiori al 50% con il piano dei trasporti potenziato grazie a 630 pullman presi a nolo.
Durante il meeting a Venezia l’analisi si è subito spostata sui banchi a rotelle, come ha riferito l’assessore all’Istruzione Donazzan, che ha sottolineato la necessità di evitare l’altalena di provvedimenti: «Le parole devono essere concrete e utili come lo devono essere i fatti. Bocciamo pertanto interventi assurdi e poco salutari, come lo sono stati i banchi con le rotelle che sono stati ritirati dai plessi scolastici in cui erano stati introdotti perché erano causa di mal di schiena». Parole inequivocabili.
Tanto che sorge un dubbio, in tempi di crisi di governo: vuoi vedere che la giunta leghista di Zaia intende bocciare la ministra grillina Azzolina? «No comment», ribatte la vicepresidente De Berti, «ogni preside ha deciso in assoluta autonomia, ma i soldi dei banchi a rotelle potevano essere spesi per potenziare la connessione web delle classi.
Nei paesi di montagna è difficile seguire le lezioni da remoto». Dal web però girano foto postate dall’Emilia Romagna con decisioni analoghe: il mal di schiena non è una bugia. Tra le scuole più solerti a fare piazza pulita delle 9 mila “sedute mobili” quelle di Rossano alle porte di Bassano, nel Rodigino e anche Vo’, dove il presidente Mattarella ha inaugurato l’anno scolastico il 14 settembre 2020 per rendere omaggio alla prima vittima italiana di Covid, Adriano Trevisan.
Estranea alla mischia politica, Sandra Biolo della Cisl mette ordine alle polemiche: «Con le classi pollaio è esploso il problema delle aule troppo piccole, 29-30 ragazzi gomito a gomito, costretti al droplet per il Covid. Hanno tolto gli attaccapanni, gli armadi, le cattedre sostituite con tavoli: ne ho viste di tutti i colori.
Nelle elementari hanno introdotto banchi nuovi così piccoli che i quaderni non ci stanno e i ragazzi non riescono a scrivere. A settembre le regioni e il ministero dei Trasporti hanno imposto che i bus viaggiassero quasi al 100% dei passeggeri, ora hanno accettato il 50%. Meglio tardi che mai. Si è perso la bussola. I banchi a rotelle? Sui pavimenti si è persino tracciato il perimetro per inchiodare i ragazzi negli spazi riservati. La scuola deve essere le priorità, invece si cade nel ridicolo».
Qui il video che mostra l'arrivo dei banchi a rotelle a Vo'
IL CASO VO. A poco più di quattro mesi dall’inizio dell’anno scolastico, sono in gran parte accatastati in un magazzino di via Guido Negri a Lozzo Atestino i banchi con le rotelle arrivati dal ministero della Pubblica istruzione nell’agosto scorso all’Istituto comprensivo di Lozzo Atestino, Cinto Euganeo e Vo’, diretto dal professor Alfonso D’Ambrosio. Si trattava della prima fornitura in una scuola del Veneto e tra le prime in Italia.

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