LA STORIA / «Guido, ritrovato dopo 35 anni il nipote desaparecido»

Inghiottito tra i desaparecidos, il dna conferma: la vittoria di Estela de Carlotto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, di origini padovane
epa04342351 Plaza de Mayo Grandmothers leader, Estela de Carlotto (C), celebrates after finding her grandson, during a press conference in Buenos Aires, Argentina, 05 August 2014. Carlotto found her grandson Guido, the 114th person found by the organisation, that aims to find children stolen and illegally adopted during the Argentine Dirty War. EPA/Florencia Downes
epa04342351 Plaza de Mayo Grandmothers leader, Estela de Carlotto (C), celebrates after finding her grandson, during a press conference in Buenos Aires, Argentina, 05 August 2014. Carlotto found her grandson Guido, the 114th person found by the organisation, that aims to find children stolen and illegally adopted during the Argentine Dirty War. EPA/Florencia Downes

PADOVA. Un tango di dolore e di gioia nella “merica” della diaspora veneta. Un affetto inghiottito dal pozzo degli orrori della dittatura argentina, e poi riemerso. Estela de Carlotto, la presidenta delle Nonne di Plaza de Mayo, non si è mai arresa alla sparizione di Guido, il nipotino avuto dalla figlia Laura, desaparecida nel 1977 mentre era incinta e assassinata dai militari di Buenos Aires tre mesi dopo il parto. L’ha cercato ovunque, con la forza disarmante della donne disperate, scontando l’omertà dei complici golpisti, prima e l’indifferenza della fragile democrazia albiceleste, poi. Infine, trentasei anni dopo, l’ha ritrovato grazie all’esame del dna: nella seconda vita, quella creata dalla follia di una dittatura che giunse a strappare i neonati agli oppositori per darli in adozione a coppie fedeli al regime, Guido si chiama Ignacio Hurban ed è un insegnante di musica che compone ed arrangia canzoni; vive ad Olavarrìa, nella provincia di Baires; gran tifoso di calcio, è fidanzato con una disegnatrice, Celeste. Presto la sposerà.

«Non volevo morire senza abbracciarlo. Voglio vederlo, toccarlo», ripete Estela, eroina del giorno sui media argentini, et pour cause. La nonna coraggio, parente alla lontana dello scrittore padovano Massimo Carlotto, alterna spagnolo e dialetto veneto con disinvoltura: suo marito - Guido, sì - era un vicentino di Arzignano. Non dimentica le radici, l’abuela: «L’Italia è un paese aperto, lo è per esempio il Parlamento che ha preso le nostre difese. Ci avete aiutato infinitamente. Noi ci identifichiamo in tutto con il nostro Paese di origine. La prima volta che sono andata a Roma era il 1981, c’era un processo ai responsabili dei desaparecidos, sarebbe durato vent’anni ma è stato meraviglioso perché la magistratura ha deciso di fare giustizia anche in contumacia, di processare quegli assassini. Poi sono stata a Venezia, a Vicenza, anche a Padova. È stata un’esperienza commovente». Al suo fianco, nella sede delle donne di Mayo costellata di fotografie di donne e donne svaniti nel nulla, un’altra veneta, «Lita» Boitano, madre degli scomparsi Adriana e Miguè, annuisce e sventola il fazzoletto bianco diventato un simbolo di lotta indomabile: «Il ritrovamento di Guido è una notizia fantastica, non abbiamo mai smesso di lottare, non ci arrenderemo mai».

Ma come è stato possibile, a grande distanza di tempo, rintracciare e identificare Guido, alias Ignacio? I dettagli non sono noti, certo è che il neonato, pochi giorni dopo il parto avvenuto in un centro clandestino di detenzione - i luoghi delle “matite spezzate” diventati emblema di tortura e morte - è stato sottratto alla mamma, uccisa tre mesi dopo a raffiche di mitra dai sicari della dittatura. È cresciuto a Colonia San Miguel, non lontano da Olavarrìa dove il padre adottivo, Clemente Hubron, lavorava come bracciante in una fattoria. Nessuno sa perché, improvvisamente, abbia deciso di sottoporsi al test genetico per verificare la proprio identità con quelle contenute nella banca-dati delle organizzazioni umanitarie. I social argentini ipotizzano che il giovane abbia aderito ad una campagna-verità lanciata dal campione Leo Messi in occasione dei Mondiali di calcio, comunque sia l’analisi del dna ha confermato al 99% la sua nuova, reale, identità. Gioisce Estela, con il suo garbo da maestra elementare, ma non dimentica.

E rievoca, una volta ancora, la storia della figlia, militante della guerriglia peronista dei Montoneros. Racconta come due mesi dopo la nascita del nipotino, nell’agosto del 1978, fu convocata dai militari che le consegnarono il cadavere di Laura, uccisa a 24 anni: «Quasi un privilegio», mormora «perché appresi che c’era un Carlotto in più, nascosto da qualche parte e io l’avrei cercato, fino all’ultimo respiro». Fino a scoprire la verità, il tesoro che rende liberi.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova