Lunga scia di furti nell’Alta, tutti assolti. Il tribunale: non ci sono prove sufficienti

La sentenza nei confronti di 14 imputati. Secondo la procura era una banda organizzata che agiva a batterie intercambiabili. Tra novanta giorni le motivazioni

Cristina Genesin
Un’aula del tribunale di Padova dove si celebrano i processi
Un’aula del tribunale di Padova dove si celebrano i processi

Tutti assolti. Eppure i sospetti c’erano. Le conversazioni potevano essere lette come un’ammissione di responsabilità («Abbiamo fatto solo una casa da 100 grammi»).

I contatti erano con altri connazionali coinvolti in indagini analoghe. Ma nessuna certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, come reclama il codice penale. E allora il tribunale di Padova (presieduto dalla giudice Micol Sabino) ha pronunciato una sentenza assolutoria anche se con la formula dubitativa che si applica quando la prova è incerta, contraddittoria, insufficiente: saranno le motivazioni, previste entro 90 giorni, a spiegare il percorso della decisione.

Restano liberi i 14 imputati (tutti albanesi gli stranieri, cinque dei quali erano stati destinatari di misure restrittive della libertà nel giugno 2018) accusati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di furti ma anche alla ricettazione e al riciclaggio nel Cittadellese come nelle province di Venezia, Vicenza, Forlì e Rimini.

Si tratta di Bajram Kabili, 44 anni di Carmignano; Can Hasani, 55enne residente a Tezze sul Brenta (Vi); Alfred Vathaj, 40enne in Italia senza fissa dimora; e Manjola Prela, 43 anni residente a San Mauro Pascoli in provincia di Forlì-Cesena oltre a Sadik Kabili, 41enne senza fissa dimora; Abele Smaniotto, 55enne vicentino di Solagna; Rigers Gjuzi 29enne di origine albanese con residenza nel Padovano; Arben Cika, 46 anni residente a San Marino; Antonjo Pacaj, 43enne di Cesenatico; Giuseppe Tomasi, 70 anni del Vicentino; Shkelqim Kakuli, 59 anni di Calvisano (Brescia); Pavel Catalin Gughie, 30 anni di San Martino di Lupari; Monika Sula, 50enne di Belvedere di Tezze (Vicenza) e Arben Sula, 55 anni di Cittadella.

Nella sua requisitoria il pubblico ministero Benedetto Roberti aveva ricostruito la vicenda, concludendo con una richiesta di condanna da un minimo di due anni a un massimo di sette (per Hasani). Le difese hanno puntato a smontare pezzo per pezzo le accuse e, alla fine, hanno ottenuto ragione. Prove insufficienti per condannare. Soddisfatti gli avvocati Elisabetta Costa, Stefania Pattarello, Alberto Toniato e Andrea Frank, Laura Bartolamei, Giorgio Pietramala e Tommaso Lessio.

Soltanto Hasani è stato condannato per aver venduto della cocaina (sia pure in modiche quantità) sempre nell’estate del 2018, droga comprata grazie ai proventi dell’attività di ladro.

I primi tre imputati erano accusati di operare con una base operativa a Carmignano da dove sarebbero partiti i gruppi organizzati, a batterie intercambiabili, esperti ladri acrobati pronti a scalare grondaie e tetti per infilarsi in abitazioni e ripulirle. Precisi i ruoli in base a quanto emerso dall’indagine affidata ai carabinieri: chi era operativo nel mettere segno i furti, chi era addetto alla ricettazione, chi faceva il prestanome delle tre auto (una Stilo, una Ford Focus e una Seat Ibiza) e anche di alcuni locali a Tombolo e a Borso del Grappa.

Tutto era nato da una telefonata fra Hasani e un connazionale indagato per una serie di furti con altri albanesi legati ai banditi della “Audi Gialla”, a bordo della quale nel 2016 erano stati protagonisti di rocamboleschi inseguimenti e sparatorie pure in autostrada. I militari dell’Arma erano convinti di avere incastrato la banda dell’Alta grazie a intercettazioni e geolocalizzazioni delle vetture che sarebbero state impiegate. Niente da fare. Le prove sono svanite in indizi che non hanno retto la verifica processuale.

A sette anni dall’inizio dell’indagine, tutto è azzerato.

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