«L’arresto di Fioravanti fu il punto di svolta per smantellare i Nar e l’eversione nera»

Borraccetti fu il primo a interrogarlo: «Sul suo coinvolgimento a Bologna ho nutrito dubbi. Ma le sentenze sono chiare»
Valerio Fioravanti arriva al tribunale di Bologna per rendere testimonianza al processo a carico di Gilberto Cavallini per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, Bologna, 13 giugno 2018. ANSA/GIORGIO BENVENUTI
Valerio Fioravanti arriva al tribunale di Bologna per rendere testimonianza al processo a carico di Gilberto Cavallini per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, Bologna, 13 giugno 2018. ANSA/GIORGIO BENVENUTI



«L’arresto di Valerio Fioravanti fu il punto di partenza di un’indagine sui Nuclei armati rivoluzionari, la nuova eversione nera di cui sapevamo poco o nulla. Una svolta in una fase molto difficile per il Paese con la strage alla stazione di Bologna e il terrorismo rosso che continuava a colpire». Parola di Vittorio Borraccetti, ex capo della Procura di Venezia, che quella notte di quarant’anni fa era il pubblico ministero di turno in Procura a Padova. Appena arrivato lungo l’argine del canale Scaricatore a Voltabarozzo si rese immediatamente conto di non trovarsi di fronte a una banale sparatoria finita male. A distanza di tanto tempo ha ancora davanti agli occhi i corpi dei giovani carabinieri Enea Codotto e Luigi Maronese: ad ucciderli era stato il commando guidato da Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. Sono anni difficili per Padova che pochi anni prima si era risvegliata con l’inchiesta del “7 aprile” e che l’anno dopo sarà travolta dal caso di James Lee Dozier, sequestrato dalle Brigate rosse a Verona e tenuto in ostaggio in un appartamento di via Pindemonte alla Guizza.

Fioravanti era già ricercato da diverse Procure, tra cui quella di Bologna per la strage alla stazione del 2 agosto precedente. Quando si rese conto di averlo catturato?

«Non lo riconobbi subito, anche perché diede un nome falso. Fu il capitano Ganzer, a cui il generale Dalla Chiesa aveva affidato l’Anticrimine di Padova, che non appena lo vide in faccia mi disse che si trattava di Valerio Fioravanti».

Che impressione le fece quel ragazzo che all’epoca aveva 22 anni?

«Il primo interrogatorio fu il giorno dopo l’arresto e Fioravanti non fu per niente collaborativo. Successivamente, quando approfondimmo alcuni aspetti del suo pensiero, mi permise di farmi un’idea sul mondo dello spontaneismo armato di estrema destra. Mi resi conto che, nonostante l’ideologia, gli appartenenti a questa area erano disponibili anche a rapporti con la criminalità comune. Non è un caso che nel gruppo di fuoco di quella notte ci fosse anche Fiorenzo Trincanato che successivamente farà parte della banda Maniero».

Perché ritiene rilevante questo aspetto?

«Perché, contrariamente alle Brigate Rosse che erano estremamente chiuse, i Nar erano permeabili a causa del loro rapporto con la delinquenza comune. E l’impressione che mi fece il Fioravanti di quegli anni era di un personaggio disposto a qualsiasi azione criminale».

Il leader dei Nar ha però sempre negato il suo coinvolgimento della strage di Bologna, sostenendo proprio di trovarsi a Padova quel 2 agosto.

«Ho sempre nutrito perplessità sulle responsabilità di Fioravanti e Mambro su Bologna. Però bisogna fare i conti con le sentenze che ormai sono definitive. È evidente anche che chi ha fatto una strage di quel genere la negherà sempre. Sono convinto che chi l’abbia realizzata si sia fatto strumento della strategia di altri. E in questo senso la permeabilità di cui parlavamo prima e la disponibilità a lavorare per soggetti oscuri e deviati, può aver giocato un ruolo anche su quanto accaduto a Bologna».

Da piazza Fontana al sequestro Dozier, passando per il 7 aprile e l’arresto di Fioravanti, Padova e il Veneto hanno avuto un ruolo centrale. Secondo lei perché?

«Il gruppo di Fioravanti in Veneto godeva di diversi appoggi. Solo quella notte infatti scoprimmo i covi di via San Francesco e via Tadi. Non dimentichiamo che pochi mesi prima Fioravanti e Mambro furono protagonisti dell’assalto al distretto militare di via Cesarotti. In un certo Veneto si era radicata la nostalgia per il passato fascista unita all’ossessione anticomunista. In questo ambiente, caratterizzato da anche da simpatie neonaziste, negli anni Sessanta è stata reclutata la manovalanza per i disegni stragisti. Successivamente quest’area è sopravvissuta dando appoggi e rifugio anche ai gruppi spontanei come i Nar».

In questi anni si continua a discutere di possibili rischi legati a movimenti neofascisti. Ritiene possibile qualche analogia con il passato?

«Assolutamente no. Ricordiamoci che nel decennio che va dal ’76 all’86 c’erano attentati quasi quotidiani. Oggi si tende invece a dimenticare che ci sono stati anni in cui la violenza era davvero all’ordine del giorno». —

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