L’arte molto buffa di Alberto Muffato

Il cantautore mestrino con “Las Vegas nel bosco” torna al folk e all’indie rock

MESTRE. Chi mastica i giochi di parole e gli anagrammi non spenderà molto tempo a capire che Alberto Muffato e la sua “arte molto buffa” sono la stessa cosa. Il primo nome è quello stampato sulla carta d’identità, sul foglio della laurea in architettura. Appare in calce al dottorato e agli incarichi di progettazione. Il secondo, invece, da dieci anni, rimbalza sui blog musicali, sui manifesti dei concerti e, in ultimo, firma la copertina del nuovo disco “Las Vegas nel Bosco”. “Arte molto buffa” è il moniker che offre la possibilità al mestrino Alberto Muffato di giocare con le parole e di sperimentare nuove traiettorie cantautorali. Dopo l'esordio nel 2004 con “Stanotte Stamattina” e “Aria Misteriosa” del 2007, dischi bene accolti dalla critica, è uscito a maggio di quest’anno il terzo capitolo: “Las Vegas nel Bosco”. Nelle 11 tracce del nuovo disco Muffato torna sui sentieri del folk e dell’indie rock prima maniera, dove artigianato musicale e poesia si incontrano, tra Samuele Bersani e Giorgio Caproni.

Muffato, che si è esibito ieri a San Mauro di Romagna, assieme ai Selton, sarà il 30 agosto ospite della Bella Estate Festiva di Belluno, in versione acustica. Sempre a Belluno ha registrato il disco, prodotto da Fabio De Min dei “Non voglio che Clara”.

Come è stato ricominciare dopo una lunga pausa?

«Mi è capitata una vicenda curiosa con i social network. Mi ero iscritto a Facebook tanti anni fa, prima che diventasse un fenomeno di massa, nel 2008 ho deciso di togliermi. Recentemente mi sono iscritto di nuovo e ho scoperto c’era una fan page a mio nome con oltre mille follower, sono rimasto un po’ sbalordito, piacevolmente».

L’atmosfera montana torna anche nella copertina.

«È la plastigrafia della Val di Pejo. Las Vegas, invece, era la sala giochi dove andavo da piccolo quando ero in vacanza in alta quota, mi piaceva questo contrasto anni ’80 tra due mondi così distanti».

C’è spazio anche per raccontare da vicino le onde del mare.

«Ero con la mia nipotina in spiaggia, non si poteva fare il bagno, c’erano troppe onde, stavamo sulla battigia, a un certo punto ha detto: “Immagina se arrivasse un’onda alta come il cielo”. Con questa bella frase si chiude il pezzo».

Muffato non “ruba” solo alla nipotina, ma alla vita e alla realtà. Una poetica della normalità, a volte metamusicale, che sorprende e fa sorridere.

«Ma non parlatemi di retorica della delicatezza, sento solo di dover raccontare quello che conosco, seguo questa regola».

Matteo Marcon

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