Lavoro nero, il report della Finanza: «Sanzionati 120 imprenditori»

Il comandante Franceschin: «Fenomeno endemico, l’attenzione sempre alta anche per il caporalato»

Edoardo Fioretto

Il lavoro nero ha radici profonde a Padova, città dove il benessere economico incontra un’economia dinamica e interconnessa. Qui, tra gennaio 2023 e maggio 2024, la Guardia di Finanza ha portato alla luce una realtà che spesso scorre sotto traccia.

Sono 300 i lavoratori in nero scoperti e oltre 120 gli imprenditori e i datori di lavoro sanzionati di conseguenza. Numeri alla mano, il fenomeno è comunque in calo. Nei 18 mesi tra gennaio 2021 e maggio 2022 i lavoratori in nero erano stati 415, il 30% in più. Sintomo di una società e una sensibilità che stanno evolvendo. Dati allarmanti riguardano invece il fenomeno del caporalato, con 20 persone denunciate o indagate, e almeno 50 vittime accertate.

Complessivamente sul lavoro sommerso i numeri nazionali parlano di 59.539 posizioni irregolari accertate: una semplice divisione per le 110 province italiane evidenzia come la media si attesti sui 500 lavoratori in nero per provincia, e considerando che Padova è la 13esima per dimensioni è chiaro come i valori del territorio euganeo siano ampiamente sotto alla media.

Ma non basta per far abbassare la guardia, finché a pagare le conseguenze di questo fenomeno sono sia i lavoratori, spesso sfruttati o con i diritti calpestati, sia le casse dello Stato e le aziende virtuose che le norme, invece, le osservano. «Un po’ come un gioco truccato, dove chi rispetta le regole si trova in svantaggio», osserva il colonnello Alberto Franceschin, comandante provinciale della Guardia di Finanza.

Un fenomeno endemico

Le Fiamme Gialle confermano che gli accertamenti sono continui e capillari. «Sul contrasto al lavoro in nero l’attenzione è sempre massima, e i controlli sono effettuati su base ordinaria», spiega Franceschin. Tuttavia, il comandante sottolinea una peculiarità rispetto ad altre città: «Bisogna anche osservare che il lavoro in nero a Padova ha una forma per lo più endemica, come si può osservare in altre realtà territoriali».

Diverso è il discorso per il caporalato, che nel tempo ha cambiato volto e si è infiltrato in settori un tempo meno esposti al fenomeno. «Questa pratica, spesso associata al settore agricolo o edile, ha trovato terreno fertile anche nella logistica», spiega Franceschin, consultando i rapporti delle più recenti operazioni dei finanzieri: «È un’osservazione forse scontata, ma importante da sottolineare: come accade sempre in quei settori in rapida espansione, anche nella logistica la crescita della domanda di forza lavoro ha portato a potenziali fragilità che, ovviamente, espongono a potenziali illeciti nel reclutamento della manodopera».

La legge e le sanzioni

La “spina dorsale” del contrasto al caporalato è contenuta nell’articolo 603-bis del Codice penale, aggiornato nel 2016 dopo alcuni casi che hanno riportato il fenomeno sotto i riflettori della cronaca e della politica nazionale. «In particolare», sottolinea Franceschin, «la legge prevede la confisca obbligatoria del denaro dei reclutatori della manodopera illecita (questa la formula tecnica che descrive i caporali) oltre che di tutti i beni utilizzati per commettere il reato».

A questi si aggiungono anche pene detentive fino a otto anni per i caporali che ricorrono a minacce e violenze. Se da un lato le inchieste confermano l’impegno della Finanza e degli altri attori del law enforcement nel contrasto, fanno anche emergere quanto le maglie dello sfruttamento siano ancora radicate.

Un caso è quello emerso tra ottobre e novembre del 2023, quando le Fiamme Gialle hanno arrestato tre persone accusate di caporalato al mercato agroalimentare di corso Stati Uniti (Maap). Nel caso, le indagini hanno rivelato che fattorini e magazzinieri provenienti dal Bangladesh erano costretti ad accettare paghe misere e turni fino a 15 ore al giorno, in condizioni al limite della schiavitù.

Altri accertamenti, coordinati dalla Procura di Milano, sono stati effettuati lo scorso febbraio in tutta Italia nei magazzini Dhl Express: tra le sedi controllate, anche quella di Padova. Complessivamente sono stati sequestrati 46,8 milioni di euro per presunta evasione fiscale. Tra le ipotesi accusatorie su cui lavorano gli inquirenti lombardi c’è anche quella di caporalato: le indagini sono ancora in corso.

Lontano dall’essere sconfitto

«Il focus della nostra attività è certamente quello della tutela del lavoratore, nonché delle imprese che impiegano manodopera in nero o sfruttata che falsano la concorrenza nel mercato del lavoro e si pongono in posizione di vantaggio competitivo illecito. Considerato anche attraverso appalti non genuini di manodopera si possono generare mancati versamenti dei contributi dei lavoratori e significative violazioni in materia di Iva», espone il colonnello.

Un fenomeno sempre più radicato: «I committenti, in alcuni casi, per ridurre i costi della manodopera assegnano ad appaltatori esterni l’incarico di trovare la forza lavoro». Quando succede, gli appaltatori creano posizioni di lavoro con contratti che sotto inquadrano i lavoratori esterni, di fatto però trattati da dipendenti, senza le tutele minime garantite dai contratti collettivi nazionale.

«Nel corso di alcune indagini dei nostri reparti», spiega Franceschin, «è stato provato proprio come fosse il committente a dare indicazioni e turni ai lavoratori, determinando in questi casi una forzatura dei rapporti di lavoro. E i datori di lavoro veri e propri ci guadagnano doppiamente: sia risparmiando sul costo della manodopera, sia con un guadagno illecito sui crediti Iva che possono vantare sullo Stato appaltando il lavoro a imprese terze».

Sebbene gli strumenti normativi siano stati rafforzati, il fenomeno non è ancora arginato. Certo il contrasto proseguirà senza sosta, ma la domanda rimane aperta: le inchieste e le denunce saranno sufficienti a scardinare un sistema che, come una malattia cronica, continua a trovare nuovi modi per manifestarsi?

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