L’avvocato di don Bruscagin «Gli ho suggerito io di tacere»

La precisazione del prete indagato trent’anni dopo l’omicidio di Willy Branchi  Per la famiglia della vittima «la riapertura del caso dice che la verità è vicina»
DA SX LUCA BRANCHI E SIMONE BIANCHI CONFERENZA STAMPA OMICIDIO WILLY BRANCHI NELLO STUDIO DELL'AVVOCATO SIMONE BIANCHI
DA SX LUCA BRANCHI E SIMONE BIANCHI CONFERENZA STAMPA OMICIDIO WILLY BRANCHI NELLO STUDIO DELL'AVVOCATO SIMONE BIANCHI





«Il mio assistito ribadisce di non essere testimone dell’omicidio né di avere mai ricevuto, fuori o dentro il confessionale, confidenze da testimoni diretti del fatto. All’epoca non fu mai sentito come persona informata dei fatti. Il suo ricordo, ora, è quello di una persona di quasi ottant’anni, ovviamente non più nitido come avrebbe potuto esserlo trent’anni fa». A parlare è Milena Catozzi, l’avvocato di don Tiziano Bruscagin, il sacerdote originario di Arre, dal 2001 a Villa del Bosco prima come parroco ed ora come collaboratore pastorale, iscritto nuovamente nel registro degli indagati per falsa testimonianza in merito all’irrisolto omicidio del diciottenne Vilfrido Luciano Branchi, detto Willy, avvenuto a Goro nel 1988.

«La decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere» ha precisato il legale «è stata una scelta obbligata dalla mancanza di un quadro completo delle fonti di prova, sulla base delle quali è stata a lui formulata la contestazione di reticenza nelle dichiarazioni rese al pm. Ho suggerito io stessa a don Tiziano di avvalersi di questa facoltà, per evitare altri fraintendimenti che riteniamo vi siano stati nel corso delle indagini attuali, del 1996 e del 1988. Il mio assistito ha riferito agli inquirenti tutto ciò che sapeva. Spiace constatare che la famiglia di Willy individui in lui il colpevole del mancato ritrovamento dell’assassino che è invece dipeso dalla carenza e dalla lacunosità delle indagini iniziali. Il rammarico più grande per don Tiziano non è quello di essere processato, pur essendo l’unico che ha cercato di aiutare le indagini, ma che queste si stiano arenando sulla sua persona in base a sospetti privi di fondamenti».

A questa presa di posizione ha risposto, a stretto giro, direttamente la famiglia di Willy. «Non comprendiamo» dicono i familiari «sulla base di quali elementi il legale parli di “carenze e lacunosità” in merito alle indagini del 1988 e del 1996 – peraltro, per quest’ultima non esiste alcun fascicolo di indagine – non essendo a conoscenza diretta degli stessi. Non individuiamo in don Tiziano il colpevole del mancato ritrovamento degli assassini ma, cosa ben più grave, prendiamo atto della circostanza per cui l’ex parroco di Goro sia stato iscritto per la seconda volta nel registro degli indagati per false informazioni. È la Procura ad individuare in lui specifiche responsabilità penali».

Ricordi sbiaditi? «Nel 2014» aggiungono i familiari «le stesse reminiscenze apparivano decisamente più nitide, tanto da consentire, a sua insaputa, la riapertura immediata dell’indagine. Riteniamo che la verità sia sempre più vicina e la riapertura del fascicolo ne è la conseguenza diretta. Don Tiziano dovrebbe pensare, soprattutto per il ruolo che riveste, che il rammarico di questa famiglia è ben altro: quello di avere perso un figlio e un fratello, trucidato da persone malvagie, senza aver fatto nulla per meritarsi una simile orrenda fine. Certe dichiarazioni aumentano il nostro dolore». —

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova