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Di Francesco Jori

di Francesco Jori

C’è un’altra faccia della guerra, quella di quando non si spara o non si sta comunque in trincea. Se ne occupano le stesse autorità militari, come documenta una circolare del 26 giugno 1915, emanata da Udine a opera del Comando Supremo, e che reca la firma di Cadorna: “Qualora la guerra dovesse prolungarsi, si potrà nei luoghi ove siano forti concentramenti di truppa, e dove se ne riconosca l’opportunità, raccogliere, d’intesa con l’Autorità politica e civile del luogo, le femmine che consentano a sottoporsi a speciale sorveglianza e disciplina, in appositi locali posti sotto la vigilanza dell’Autorità sanitaria Militare ed accessibili soltanto ai militari. Ciò anche a scongiurare, per quanto è possibile, che i militari si affidino alle prostitute clandestine che pullulano un po’ da per tutto sotto le apparenze più diverse…”.

Un primato tricolore, come spiega Emilio Franzina nel suo documentatissimo “Casini di guerra”: “Il bordello militare all’italiana, durante il primo conflitto mondiale, costituisce un’anticipazione originale e configura forme di intervento sul tempo libero dei soldati che gli eserciti alleati, molto più avanti del nostro nell’opera di ricreazione morale e ludica delle truppe, in corso d’opera ci invidieranno e talvolta ci copieranno”.

La misura viene adottata tempestivamente, e con ampia diffusione. Esemplare il caso di Schio, nel Vicentino, dove dopo un lungo braccio di ferro viene aperta una casa di tolleranza, malgrado la strenua opposizione del sindaco, del mondo cattolico, di alcuni parlamentari e perfino di noti imprenditori, con un’esplicita motivazione così formulata dall’autorità militare: “L’apertura di una casa di meretricio in questo Comune, per uso esclusivo delle truppe, è imposta dall’interesse supremo della moralità e dell’igiene delle truppe stesse”.

L’intera vicenda è ben documentata nel libro cronistorico della parrocchia, affidata in quegli anni al futuro cardinale Elia Dalla Costa, che riesce a smuovere non solo la popolazione ma pure i notabili del paese.

Non è una controffensiva limitata alla protesta: il senatore Giovanni Rossi e l’imprenditore Luigi Cazzola, titolare di un lanificio, acquistano pagando di tasca loro due case indicate come possibili sedi del postribolo; e una terza viene comprata direttamente dall’arciprete grazie ai fondi di una devota quanto facoltosa parrocchiana, Federica Benetti Bertolini. L’infausto insediamento sembra scongiurato, al punto che Dalla Costa annota nel libro cronistorico a fine anno: “Gloria a Dio e onore ai cittadini scledensi”.

Ma è vittoria di breve durata, perché l’autorità militare adotta la linea dura: pochi mesi dopo, il postribolo apre comunque i battenti in un altro edificio, in via Rovereto, requisito espressamente a tale scopo.

A dispetto delle reazioni locali e dell’opposizione della Chiesa, vescovi in testa, i postriboli si moltiplicano un po’ dappertutto, attirando non solo i soldati ma pure i loro superiori, che d’altra parte hanno una maggiore disponibilità economica: “È tanto difficile trovare un ufficiale che non frequenti case di prostituzione, e non ne parli con la disinvoltura più impressionante”, annota sconfortato don Luigi Greco, cappellano del 115mo reggimento fanteria.

A Treviso, monsignor Andrea Giacinto Longhin si sfoga in una lettera con il suo collega vicentino Rodolfi dopo aver avuto notizia dell’apertura di uno di questi a Lancenigo: “Sono amareggiato al sommo, perché in questi giorni… mi si impiantano qua e là case di tolleranza in paesi di campagna”. Una nota indirizzata dalla prefettura di Udine in data 13 novembre 1916 informa che “d’ordine dell’Autorità Militare sono state aperte in provincia nuove case di meretricio, delle quali due a San Giorgio di Nogaro ed una a Latisana”.

Ma così si finisce per creare anche un’opportunità che richiama “manodopera” da fuori, mettendo in crisi la situazione controllata dall’esercito per evitare che i soldati contraggano malattie. Il 23 giugno 1917, la stessa prefettura manda una nota al ministero dell’Interno, per segnalare con preoccupazione che “molte prostitute arrivano dall’interno del Regno alle numerose case di tolleranza, di cui si è dovuta consentire l’apertura per i bisogni dell’esercito; molte giungono e si stabiliscono qui per esercitare i più svariati commerci”.

La situazione deve farsi pesante, se i comandi fanno circolare dei manifesti anti-sifilide con l’intestazione “Soldato, difenditi dalle malattie veneree!”, seguita da una serie di consigli pratici ma anche da richiami ideali. Tra di essi, un patriottico invito alla morigeratezza: “Non credere che l’astensione dal rapporto sessuale sia dannosa. Al contrario, l’astinenza conserva all’organismo umano tutte le forze, ed è il mezzo più sicuro per evitare le malattie veneree”. Di più, c’è un’esaltazione della virtù coniugale: “Ama una donna sola, sposala e procrea dei figli. Rifuggi dalle donne di malaffare: esse possono rovinare te e la tua famiglia. Sarai così un onesto marito, un buon padre, un ottimo cittadino e soldato per la Patria”.

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