Le sei bellezze nude in Canal Grande

Happening al gelo: è la performance di Iris Brosch mentre la città fibrilla tra eventi e temporali
Di Manuela Pivato

VENEZIA. Completamente nude, dipinte d’argento, con un cagnoletto sul pube, due piovre tra i capezzoli, i capelli di alghe e i granchi ai piedi. Vere loro e veri i pesci (verosimilmente morti) in riva al Canal Grande al traghetto di San Felice, così, in un pomeriggio di metà Biennale, come le sirene di Ulisse però tra i vaporetti della linea 1, il taxi di Carolina di Monaco e il tender di Paul Allen.

Sei modelle trasformate in ninfe marine alle quali dev’esser stato spiegato che, poiché l’arte autorizza ogni esperienza, un bagno in Canal Grande sotto la pioggia e con dodici gradi di temperatura è una performance imperdibile, oltre che un onore, anche se non figura tra gli eventi collaterali. La performance, per la cronaca, si intitolava “Desponsamus te, mare”, è opera di Iris Brosch ed è stata one-shot, un colpo e via, ieri dalle 18 alle 19, e chi ha visto ha visto e chi se l’è perso se l’è perso.

Lo sposalizio tra le sei figone e l’acqua lurida del Canal Grande non entrerà nella storia dell’arte ma è entrato nei telefonini impazziti di veneziani e turisti che ormai faticano distinguere un’opera d’arte da un’opera della natura, una cacca di cane da una merda d’artista e un ragazzotto incappucciato da Leonardo Di Caprio nella Biennale più fredda e bagnata degli ultimi 50 anni.

Un acquazzone prima di cena e un altro dopo mezzanotte anche l’altra sera, entrambi annunciati e temuti come una iattura ma a loro modo generosi perché, in un colpo solo, hanno risparmiano il red carpet di Pinault, salvato la cena di aragoste e ostriche a bordo del Red Dragoon e preservato la bella testolina fresca di coiffeur di Carolina di Monaco. Carolina, però, aveva altri pensieri. Quello dominante era non avere intorno fotografi, lasciati tutti a bocca asciutta fuori dallo spazio Punch della Giudecca dove - i piedini imprigionati in lacci d'argento e gli occhiali da miope - la principessa ha inaugurato il Padiglione del Principato di Monaco.

Per lei e un centinaio di ospiti, cena a seguire alla Collezione Guggenheim trasformata in giardino secondo i desideri del console onorario del Principato di Monaco, Anna Licia Balzan, che ha voluto, nell'ordine: un tappeto di erba in terrazza, funghi termici, una serra di rose bianche, lo champagne prediletto della principessa e una lista di invitati dolorosamente ristretta. Mario Moretti Polegato, Enrico Marchi, il gallerista Stefano Contini, Gianfranco Zoppas, la principessa Caroline Murat e il sindaco Giorgio Orsoni che incrocia Carolina sotto il mobile di Calder e, pur avendo anche lui altri pensieri, imbandisce uno dei suoi sorrisi migliori.

Venezia e la Biennale si incrociano così, per un attimo, per molti attimi che durano da tre giorni e ne dureranno altri tre, l'una fusa nell'altra, amiche e aliene, come il blocco di ghiaccio staccato dalle Alpi e portato in laguna a rappresentare le Maldive che lentamente si va squagliando in Riva Sette Martiri.

Venezia (una fetta di Venezia) e la Biennale che si riconoscono a PalazzinaG dove le ragazzine tirano l’alba nella speranza di intercettare se non lo sguardo di Di Caprio, almeno il suo berretto, o uno dei suoi sosia lanciati in città per un depistaggio da anni Ottanta. L’arte che va a colazione da Franca Coin (“tutto fatto in casa”) per un see and go, una forchettata di risotto e via, tutti (non proprio tutti) da Miuccia Prada. Franca Sozzani, Ginevra Elkan, Damien Hirst, Anish Kapoor, Marc Quinn, Massimiliano Gioni, Francois Pinault, Afef. E chi non era di qua era di là, alla Ca’ d’Oro, per la mostra sui Tesori del Ghetto restaurati da Venetian Heritage con il supporto di Vhernier e inaugurata ieri sera con la bellezza lunare di Tilda Swinton e gli amici di Toto Bergamo Rossi: Goga Ashkenazi, i principi di Kent, Fiona Swarovski, Marina Cicogna, Luca e Veronica Marzotto. Per dire.

In punta di piedi, intanto, Carolina di Monaco è già ripartita carica di doni (una Bagonghi di Roberta di Camerino e un paio di scarpe create per lei dallo stilista emergente Massimo Dogana) lasciando dietro sé un intero albergo in estasi. Ca’ Sagredo, che l’ha ospitata, le ha già dedicato la suite presidenziale di 150 metri quadrati di stucchi e affreschi che, da oggi, porta ufficialmente il suo nome.

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