Lettere dal palcoscenico

Tutto l'amore per la sua Pupa Henriette tra un teatro e l'altro
Minuta e fragile nell'aspetto, Eleonora Duse è stata molte donne in una vita sola. A testimoniarlo ci sono le sue lettere destinate agli amici, agli attori e agli autori con cui ha lavorato, agli intellettuali e agli uomini con cui ha condiviso pezzi della sua vita e per cui non ha risparmiato nulla di sé. E lo testimonia il carteggio più ricco di tutti, quello che Eleonora Duse ha indirizzato a sua figlia Enrichetta e che da alcuni giorni è arrivato nelle librerie (Ma Pupa, Henriette, Marsilio, pp. 400, 38 euro) grazie al minuzioso lavoro di interpretazione e riscrittura curato da Maria Ida Biggi, direttore del Centro studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo della veneziana Fondazione Cini.  Le lettere alla figlia - in parte autografe e in parte ricopiate a mano da Enrichetta - rivelano il lato materno della Duse, originale e inconsueto rispetto al suo tempo, e dissipano le incertezze su un rapporto che gli studiosi hanno considerato spesso difficile, dominato da un non-amore della Duse per sua figlia, nata dal matrimonio con l'attore Tebaldo Checchi, da cui la Duse si separa dopo appena tre anni, nel 1885, durante una tournée in Sud America. Checchi rimane lì e cambia mestiere. La figlia torna in Italia con la madre, e il suo destino sarebbe quello di seguirla per i teatri, come fece lei coi suoi genitori, attori girovaghi. A questo destino la Duse si ribella e manda sua figlia in collegio a Torino, poi a Dresda, infine a Londra, dove si stabilirà col marito, Edward Bullogh, professore di italiano a Cambridge, e ai loro due figli, Edward ed Eleonora Ilaria, che prenderanno entrambi i voti domenicani. Sister Mary Mark, questo il nome da religiosa di Eleonora Ilaria, nel 1969 ha donato alla Fondazione Cini il carteggio tra sua madre e sua nonna, che oggi vede la luce.  «Quel che emerge - sottolinea la curatrice - è un legame forte e tenero ma anche l'indubbia necessità dell'autonomia da parte della madre. La Duse amava profondamente sua figlia, ma aveva la necessità assoluta di lavorare, di progettare un'attività artistica anche quando non ce n'era la necessità economica». La Duse anticipa di molto la contraddizione intima delle donne di oggi tra l'istinto materno e il bisogno di realizzare la propria natura. E la natura della Duse era il movimento. Per tutta la vita desidera radici, una casa, «un cantone di terra» ma finisce sempre per partire, per andare. A lavorare, su quelle «esecrande tavole del palcoscenico» di cui non può fare a meno. Ma da cui terrà ferocemente lontana sua figlia. A lei intende garantire la vita regolare che le era mancata e soprattutto gli studi. La Duse, autodidatta con l'ossessione dei libri, aveva una biblioteca sterminata, che portava ovunque con sé. Non aveva casa, non accettava di stabilirsi in nessun luogo. Neppure da sua figlia, in Inghilterra, neppure per pochi giorni, tanto da rimandare continuamente il viaggio.  La vita strutturata di Enrichetta era ciò per cui aveva lavorato, ma non faceva per lei. Preferisce scriverle, da mille indirizzi diversi, diversi, raccontandole le sue giornate e i suoi umori. Si conoscono così i dettagli delle sue tournée coi successi e le amarezze, le sue frequentazioni, l'odio per la guerra e la passione civile, l'amore per la letteratura e il sogno del cinema. Accostandosi a queste lettere c'è il rischio di farsi sorprendere dal fatto che molte sono in francese. «Le abbiamo lasciate così - avverte la Biggi - per non perdere la vivacità dell'espressione». Molti dei preziosi materiali della Fondazione Cini ricostruiranno la figura di Eleonora Duse nel complesso del Vittoriano a Roma (vedi articolo a fianco) e poi a Firenze in una mostra intitolata «I viaggi di Eleonora Duse nel mondo» curata da Maurizio Scaparro, Maria Ida Biggi e Alessandro Nicosia.

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