Licenziata dopo trent’anni di lavoro, condannata la casa di riposo AltaVita Ira

Silvana Crepaldi, per 30 anni è stata impegnata nella stireria della casa di riposo che nel tempo le causano una patologia (tunnel carpale bilaterale) che non le consente più di lavorare in lavanderia. Dopo il licenziamento si è rivolta al tribunale del Lavoro

PADOVA. «Licenziamento discriminatorio». L’istituto di riposo per anziani AltaVita Ira è stato condannato a risarcire una dipendente storica, da 30 anni nell’ente, “congedata” dopo essere risultata inidonea alla mansione che svolgeva. Inidoneità causata però proprio da una malattia presa sul posto di lavoro. Il giudice del Tribunale del lavoro, Maurizio Pascali, non ha avuto dubbi, e nella decisione è stato chiaro scrivendo nella sentenza: «Il Tribunale accerta la nullità del licenziamento perché discriminatorio».

La vicenda inizia nel 2016, quando l’istituto di piazza Mazzini (ente partecipato del Comune) apre un procedimento di mobilità per 22 dipendenti, a causa dell’esternalizzazione di alcuni servizi. Dopo una battaglia sindacale durata quasi un anno, nel biennio successivo una quindicina di loro viene ricollocata. Gli altri invece rimangono in mobilità fino al 2019, quando poi vengono definitivamente licenziati.

AltaVita Ira ha provato ad impiegarli in mansioni diverse, ma senza nessun successo. Tra queste c’è Silvana Crepaldi, per 30 anni impegnata nella stireria della casa di riposo tra presse pesanti e biancheria, che nel tempo le causano una patologia (tunnel carpale bilaterale) che non le consente più di lavorare in lavanderia.

Per un periodo le affidano il servizio pulizie, ma poi la licenziano insieme ad altri 5 dipendenti con la motivazione della inidoneità certificata dal medico dell’ente.

Lei è l’unica però che decide di dare battaglia all’istituto: «È stato un calvario per me. Dopo 30 anni mi sono trovata senza lavoro a pochi anni dalla pensione e senza la possibilità di ottenerne un altro facilmente», racconta Silvana, che ora ha comunque trovato un’occupazione provvisoria. Dopo la causa in Tribunale arriva la sentenza, che condanna Ira a pagare tutti gli stipendi arretrati e al reintegro della donna.

Silvana però rifiuta di tornare a lavorare in un posto dove si è sentita respinta, scegliendo il risarcimento di 15 mensilità, che andranno ad aggiungersi agli stipendi spettanti. «Ero decisamente un peso per loro, quindi questa sentenza mi rende felicissima. Ho subito un’ingiustizia, un’umiliazione che difficilmente dimenticherò», aggiunge Silvana, difesa dalle legali Sabrina Carlotto e Silvia Boschello.

Secondo la sentenza, quindi, Altavita ha violato un principio di diritto comunitario poi recepito dal nostro ordinamento giuridico, ovvero quello della parità di trattamento a prescindere dalla sussistenza di invalidità, compresa la cosiddetta “discriminazione indiretta”, che si verifica quando una disposizione, un atto, o un comportamento apparentemente neutro possono mettere le persone portatrici di handicap in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone. —

LUCA PREZIUSI
 

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