L'IMMAGINE DEL VENETO PEGGIORA? È TUTTA COLPA DEI LEGHISTI

Le servette delle case dei ricchi, nei film e le commedie di qualche anno fa, erano tutte invariabilmente venete. Goffe, stupidelle, imbroglione, e anche un po' zoccole. Veneti, e piuttosto baùchi, erano anche i soldati polentoni. Come pure gli scemi del villaggio che furoreggiavano in tivù, caposcuola quell'indimenticato Toni Buleghìn da Cavarsare, spietatamente interpretato dal fu Gino Bramieri.  Adesso è cambiata la cornice ma non l'immagine del quadro. Il veneto, inteso come cittadino del Veneto, viene ancora raffigurato spesso allo stesso modo: sostanzialmente un mona. Solo che il mona di oggi non è più innocuo. E fa anche meno ridere. Perché il mona è diventato cattivo. Ha perso ogni traccia di leggerezza, di ingenuità, di cortesia, di simpatia. E' diventato becero, rozzo, ignorante, intollerante, razzista, e anche truffaldino. La "razza de mona", per dirla con Toni Cibotto, insomma si è evoluta. In peggio.  Così almeno vengono da più parti rappresentati i veneti. E qualche motivo ci sarà. Così un film che andrà alla mostra di Venezia e che nessuno ha ancora visto, raccontano che dipinga i veneti di oggi. Male, anzi malissimo. Così un film che nessuno ha ancora visto sta scatenando indignate polemiche e vibranti reazioni, in linea con lo sport italiano più praticato: parlare di ciò che non si conosce. Tipico del mona.  Così alcuni leghisti veneti minacciano sfracelli contro il film. Interrogazioni parlamentari, manifestazioni di piazza, proteste plateali, scomuniche, anatemi e boicottaggi. Come se non si rendessero conto che a diffondere una pessima immagine del Veneto in questi anni sono stati proprio loro. Con tenacia, con ostinazione. Con le loro trovate e le loro sparate. Penose, prima ancora che comiche. Con la caccia ai bongo bongo da sparare come leprotti, con le impronte dei piedi, le panchine segate, la guerra al kebab, ai froci e alle moschee, le feste celtiche, i telegiornali in dialetto, gli inni veneti, le corna vichinghe, i riti dell'ampolla, il dio Po, i Forza Etna e Dai Vesuvio, la secessione armata, le glorie del nostro leòn, il tricolore da buttare nel cesso, il dito medio alzato, quelli che ce l'hanno ancora duro e altre mille deliranti amenità.  Difficile meravigliarsi se poi a qualcuno viene in mente di sputtanare i veneti, quando proprio i leghisti veneti ce l'hanno messa tutta per fare sputtanare questa terra, inventandosi un Veneto- Brancaleone del leòn che magna el teròn. Un Veneto boaro che a ben guardare pervade solo alcune sacche della realtà, ed è piuttosto un loro pianeta immaginario, proprio come la Padania.  A parte che in un paese libero, come questo è ancora, nonostante tutto, chiunque deve avere il diritto di criticare chiunque, anche aspramente, e di rappresentare come gli pare, nel bene o nel male, sia i veneti che i napoletani, sia i milanesi che i siciliani. Perché il diritto alla satira è il diritto alla democrazia. Quindi c'è anche il sacrosanto diritto di criticare un film, ci mancherebbe. Magari sarebbe meglio farlo dopo averlo visto. Quello che stride è che le critiche arrivino proprio dagli unici veneti che non hanno alcun motivo di protestare. I leghisti. Perché se c'è qualcuno che in questi anni ha provveduto a ridicolizzare e sputtanare l'immagine del Veneto, sono proprio loro. Con quel «macchiettismo greve condito di razzismo, volgarità e ignoranza», come lo definisce Michele Serra.  Invece di proclamare risibili crociate, bisognerebbe imparare a sorridere degli stereotipi, come suggerisce Lino Toffolo. Ma quella del sorriso è un'arma sempre più rara in un mondo che preferisce il ghigno.  I veneti farebbero bene a indignarsi (sorridendo) più che contro un film, contro quelli che di questa terra, che ha cultura, civiltà e tolleranza, hanno dato un'immagine ignorante, razzista e intollerante, e purtroppo non l'hanno fatto al cinema. Non se ne rendono conto, ma sono loro i veri bongo bongo.

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