Lo scrittore che credeva nella cultura condivisa

PADOVA. Marco Bellotto se n’è andato con i suoi anni ancora giovani, 46 appena, lontano da Padova, vicino a uno dei suoi tanti progetti, il più ambizioso forse. È morto ad Addis Abeba, e nella sua città la notizia rimbalza tra sgomento e commozione. Era stato avvocato, volontario. Era stato, e resterà attraverso le sue opere, uno scrittore.
Nel 2003 per Sironi aveva pubblicato “Il diritto di non rispondere”, un vero e proprio legal thriller. Univa così i suoi studi di giurisprudenza e la sua esperienza a quella che era la sua grande passione: la scrittura. Il libro fu finalista al premio Calvino e quell'esordio lo fece conoscere alla letteratura italiana e in particolar modo a quel gruppo di scrittori e amici che vivono a nordest.
Le occasioni per parlare, confrontarsi, pensare iniziative e progetti con il tempo hanno dato vita a una sorta di avanguardia che prendeva in prestito dallo scrittore cileno Roberto Bolano il nome di “Realvisceralisti”. Per qualche anno una certa vita culturale di Padova è stata animata da questi autori. Serate di lettura riempivano il cinema Excelsior di vicolo San Francesco. La platea era sempre piena per ascoltare cosa questi autori avevano da dire e da leggere. Si faceva in pubblico quello era stato fatto in privato, tra amici.
C’erano Giulio Mozzi, Umberto Casadei, Romolo Bugaro, Marco Franzoso, Massimilano Nuzzolo, Marco Mancassola, nelle serate arrivavano amici da altre città come Vitaliano Trevisan, Mauro Covacich, Tiziano Scarpa. Marco Bellotto di questo gruppo fu una sorta di segretario, capofila, colonna portante.
Per un periodo ci fu una vera e propria sede in via Carini 52. Si provava a fare qualcosa per la cultura della città, e pensando anche più in grande, come piaceva a Bellotto, anche per l’Italia. Nacque così l'antologia “I nuovi sentimenti”, sorta di cartografia dell'apparato sentimentale dei giorni nostri. Amare in questi anni ha lo stesso significato di vent'anni fa? ci si chiedeva. Le paure sono le stesse?
Al gruppo si aggiunsero i friulani Gian Mario Villalta e Alberto Garlini. Si lavorava e si discuteva; Marco Bellotto sosteneva che si doveva fare ancora di più, che la voce doveva farsi sentire ancora più forte.
Poco dopo il primo volume diede alle stampe “Gli imitatori”, edito da Marsilio, nel quale raccontava un Italia anni settanta nella quale si muovevano scrittori e intellettuali. Si parlava di Luciano Bianciardi, uomo di cultura, scrittore importante ma escluso dalle antologie che si studiano a scuola. Bellotto lo amava e scriveva anche per riabilitare letterati come lui. Uomini che avevano detto e scritto, ma che non erano stati ascoltati a dovere.
Oggi gli amici pensano a Bellotto. Marco Mancasola da Londra parla dello sgomento, che vorrebbe condividere con quel gruppo di amici. Umberto Casadei affranto pensa a quando quest'estate aveva in mente Marco, Roberto Ferrucci ricorda la generosità e la passione condivisa per l'Inter.
Marco diceva che se si voleva fare lo scrittore bisognava scrivere tutti i giorni. Da un anno aveva finito un nuovo romanzo. Ora l’unica cosa certa è il senso di vuoto: manca un uomo di cultura, per molti un amico vero, un uomo che ha lavorato attorno al concetto di giustizia, quella dei codici e delle carte e quella degli uomini.
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