«L’omosessualità abita nel Dna dell’essere umano»

di Elisa Fais
Alla fine hanno avuto ragione loro: l’omosessualità sembra avere radici nel patrimonio genetico. Due ricercatori del Bo erano arrivati a questa conclusione già nel 2008 e ora arriva la conferma da parte di un gruppo antagonista americano. Gli studiosi della NorthShore University (Illinois) erano stati i primi a dar contro ad Andrea Camperio Ciani e Giovanni Zanzotto dell’Università di Padova. Pensavano di riuscire a confutare la tesi degli italiani eppure si sono dovuti rimangiare le critiche.
È soddisfatto lo psicobiologo Andrea Camperio Ciani: «Guarda caso dopo la bellezza di sei anni hanno scoperto esattamente quello che noi avevamo già detto, nonostante il tentativo di demolire la validità scientifica dei nostri risultati». I due professori del dipartimento di Psicologia generale di Padova, assieme al collega Paolo Cermelli dell’Università di Torino, avevano dimostrato con modelli matematici come l’omosessualità maschile e l’aumento della fecondità femminile fossero strettamente correlati, evidenziando i modi dell’ereditarietà del carattere omosessuale per linea materna. Questi fattori genetici, concludeva lo studio italiano, conducono al mantenimento nelle popolazioni umane dell’omosessualità maschile in tassi bassi ma stabili, senza che mai essa si estingua, né si diffonda completamente tra gli individui. Le predizioni teoriche pubblicate nel 2008 dai due universitari patavini sulla rivista «PLoS_One» trovano piena conferma nel più vasto studio mai compiuto per identificare regioni del Dna umano legate alla sessualità maschile: cinque anni di ricerca su circa 400 coppie di fratelli gay.
I ricercatori della NorthShore University, diretti dal professor Alan Sanders, hanno confermato l’esistenza e identificato le zone del Dna dove risiedono fattori genetici che influenzano l’orientamento sessuale nei maschi. È ben noto che i tratti genetici spiegano solo una parte del complesso fenomeno dell’omosessualità maschile, che si sa essere influenzata anche da vari fattori psico-sociali. Il nuovo studio ha però confermato un chiaro ruolo della genetica sull’omosessualità. «Abbiamo trovato due forti legami con una regione nel cromosoma 8 e con la regione Xq28 del cromosoma X» spiega Sanders. «Questi risultati mostrano in che modo la variabilità genetica contribuisca allo sviluppo di importanti tratti psicologici dell’orientamento sessuale maschile».
I partecipanti allo studio erano maschi omosessuali che hanno almeno un fratello gay vivente. È stato loro chiesto di fornire campioni di Dna e di completare questionari riguardanti la loro storia personale, le loro preferenze sessuali, e quella dei loro immediati familiari. Lo studio americano, nonostante arrivi alle stesse conclusioni di quello italiano, si differenzia molto per le modalità. Nel precedente erano state coinvolte 200 coppie formate rispettivamente da un omosessuale e un eterosessuale.
Il professor Camperio Ciani spiega: «Per noi era impossibile accedere alle tecniche di mappatura del genoma che sono state effettuate dal gruppo americano. La raccolta dei dati è iniziata nel 2000 e mancavano sia le possibilità a livello tecnico che a livello economico». I due fattori genetici che influenzerebbero l’orientamento sessuale erano stati individuati dai padovani attraverso calcoli matematici. In entrambe le ricerche comunque si parla di legami tra regioni dei cromosomi e caratteristiche espresse nella vita. Gran parte del genoma umano è ancora avvolto nel mistero infatti su circa 200 mila geni previsti, oggi la ricerca è riuscita a mapparne circa 20 mila. «Alcuni ci hanno criticato perché si tratta solo di calcoli, ma a noi non interessa mappare il gene dell’omosessualità in quanto non riteniamo che sia una malattia. È meglio investire sulla ricerca legata ai meccanismi che inducono le più frequenti e gravi patologie che affliggono il genere umano» conclude Camperio Ciani.
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