L'OPINIONE / Università: le migliori devono emergere
PADOVA. Si inaugura il 790° anno accademico dell’Ateneo patavino. In questo momento così difficile per il nostro Paese, tra le buone notizie per l’università italiana c’è sicuramente l’avvio delle procedure per la valutazione degli atenei del nostro Paese.
La norma che istituiva l’Anvur, cioè l’Agenzia nazionale per la valutazione delle Università e della ricerca, risale addirittura al lontano, ormai, anno 2006, voluta dall’allora ministro Mussi. Ci sono voluti ben sei anni, dunque, per vedere effettivamente in azione quell’Agenzia, che sta peraltro muovendo solo da pochi mesi i suoi primi passi. Segno di quanto forte sia la resistenza, qui da noi, ad introdurre norme e ad utilizzare strumenti che cerchino quantomeno di far emergere la qualità di ciascun ateneo sul piano della didattica, della ricerca, e dei servizi agli studenti.
I componenti dell’Anvur ed il suo presidente sono stati scelti bene, e sono persone serie e di valore. C’è quindi da ben sperare. Nonostante le resistenze che il loro lavoro incontrerà, potranno rendere un buon servizio all’università italiana. Ma ciò richiede un discorso franco e chiaro in premessa. E provo ad illustrare compiutamente questa osservazione che sta alla base di ogni successivo ragionamento che si voglia fare sul sistema di valutazione degli atenei in Italia.
Infatti, occorre preliminarmente stabilire gli obiettivi della valutazione, oltre che, naturalmente, i metodi. E’ soprattutto sui primi che conviene richiamare l’attenzione. Sui secondi il discorso è più facile, anche se ciò può sembrare controintuitivo. Nessuna corretta procedura di valutazione si può ridurre ad una mera raccolta di dati, nessun metodo può essere assolutamente “neutro”. E’ sempre, lo si riconosca o meno, inevitabilmente orientato rispetto ai risultati che vuole raggiungere. Non perde per questo di “oggettività” la valutazione realizzata, ma piuttosto si definisce in termini di maggiore o minore coerenza con l’obiettivo che si è prefissa di raggiungere. E’ infatti l’individuazione dell’obiettivo l’elemento più importante che influisce sulla scelta dei metodi della valutazione. Che in concreto vuol dire quali parametri vengono scelti, con quali “pesi” questi medesimi parametri vengono utilizzati, per valutare ciascun ateneo.
Si sente ora ripetere che l’obiettivo della valutazione è quello di “far crescere la qualità media del sistema”. E’ davvero questo davvero l’obiettivo più importante da prefiggersi oggi in Italia? La qualità media degli atenei italiani è già oggi molto buona: la prima classifica internazionale della “robustezza”, per dir così, dei sistemi universitari dei diversi Paesi contraddice un diffuso luogo comune. L’Italia è al 12° posto nel mondo. E’ sì preceduta, in Europa, da un gruppo di primi della classe: Uk, Germania, Olanda e Francia. Ma si colloca nella stessa posizione di Svezia, Finlandia, Svizzera. Austria, Danimarca, Spagna e Norvegia vengono dopo. Gran parte dei nostri atenei si colloca tra i primi 500 al mondo, su svariate migliaia. L’Italia è quindi al 3° posto a livello internazionale, dopo Usa ed Australia, per numerosità di allievi che studiano in una delle prime 500 università del mondo. Il problema è che, nelle prime cento, delle nostre non ce ne è nessuna… Allora sembra ragionevole che l’obiettivo della valutazione sia quella di puntare a far emergere le punte del sistema universitario italiano, con l’obiettivo di favorire la differenziazione tra gli atenei, non quello di far crescere l‘omogeneizzazione tra di essi, attraverso la crescita della “qualità media”. Rendendo così possibile, come in Francia, Germania e Uk, concentrare finanziamenti maggiori ed in quantità adeguata sugli atenei più “lanciati” sulla scena internazionale, così che possano essere un po’ più competitivi e “scalare” almeno un po’ quelle graduatorie.
Sarebbe questo l’unico processo di autentica “liberalizzazione” (se ne parla molto in Italia, di questi tempi, di liberalizzazioni) per il sistema universitario nazionale, che deve senz’altro restare pubblico. Ma non ingessato e sclerotizzato. Come ora.
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