L’orto in mezzo alla laguna, dove il tempo si è fermato: Sant’Erasmo vuole resistere

VENEZIA. Così vicina, eppure così lontana. Il tempo si è fermato a Sant’Erasmo ben prima del Covid. L’isola più grande della laguna è un’oasi a cielo aperto che si allunga tra Burano, Murano, Venezia, il Lido e Treporti. Tutte a poche centinaia di metri in linea d’aria, ma per arrivarci è un incastro di mezzi pubblici e coincidenze che le rende distanti.
Le comodità della città sono rimpiazzate dal rapporto con la natura, che qui è madre e sorella. A distanza di secoli, la Serenissima ha ancora nell’isola il suo orto, 325 ettari che danno vita a 610 abitanti e a decine di aziende agricole, tutte a conduzione familiare.
L’età media avanza oltre i sessanta, scuole e servizi sono in regime di autogestione. Otto iscritti alla materna che ogni anno rischia di chiudere, due classi di età mista alle elementari per dieci bambini. Un medico di base da Burano visita su appuntamento due volte la settimana, nessuna farmacia.

Il cuore sociale dell’isola è l’alimentari Vignotto di Stefano Nardin, a poche decine di metri dalla Chiesa e dal suo imbarcadero. Un centro civico, più che un supermercato. Ci sono generi alimentari, tabaccheria, edicola, macelleria. Una biblioteca grazie alla convenzione con la Querini Stampalia di Venezia, un distributore di benzina, la rivendita di grano e concime.
E ancora il deposito di pacchi Amazon, il servizio di prenotazione di visite mediche e di esami del sangue per gli anziani. Vento, nebbia o pioggia, Nardin e la sua famiglia raggiungono Treporti per il pane fresco ogni mattina all’alba. Una volta la settimana per il resto dei rifornimenti. Ne va della sopravvivenza dei residenti.
«Siamo una sicurezza per tutti, questo ci fa andare avanti anche se il lavoro è complesso», spiega Nardin, nato e cresciuto a Sant’Erasmo, «Il nostro è un impegno costante a tenere l’isola viva e ospitale. Negli anni Settanta alle elementari eravamo una compagnia di un centinaio di coetanei, era tutto un altro vivere. Ora manca la fascia d’età tra i 30 e i 60 anni, e con loro mancano le idee e le forze per rilanciare l’isola».

Lo spirito, però, è intatto. La festa del mosto in ottobre, quella del carciofo violetto a maggio, la storica banda musicale che unisce giovani e anziani. Tutte iniziative che hanno attraversato generazioni, prima che la pandemia le mettesse in congelatore. Facendo crescere la sensazione di isolamento e rassegnazione. Per attraversare i quattro chilometri quadrati di Sant’Erasmo servono la bici o l’auto (sì, qui le auto circolano e pure l’Ape Piaggio).
Asfalto sulle strade principali, ghiaia e fango in quelle secondarie. Il virus ha attraversato le distese di coltivazioni ed i vitigni dell’isola. Una quarantina i contagi da inizio pandemia, dicembre il mese più duro. Il lavoro nei campi, unica fonte di reddito per decine di famiglie, non si è mai fermato. Vale anche per l’azienda Sapori di Sant’Erasmo dei fratelli Carlo e Claudio Finotello.
Dieci ettari, la metà in estate con la rotazione delle colture, e serre coperte per la vendita diretta a km zero di tutto ciò che offre l’isola: spinaci, bieta, scarola, cavolo, verza, carciofi in primavera, pomodori, melanzane e peperoni. Più che i ristoranti veneziani, i Finotello riforniscono ogni settimana centinaia di clienti in tutta la città.
«Abbiamo risentito del lockdown soprattutto per i problemi logistici, per il resto abbiamo sempre continuato a lavorare. Con l’incognita che se qualcuno si ammala, ci tocca bloccare tutto», spiega Claudio.

All’estremità sud, superato il Lato Azzurro, unico hotel con noleggio bici dell’isola, il ristorante Al Bacan è la sola tavola calda di Sant’Erasmo. Piccolo paradiso affacciato sulla bocca di porto di San Nicolò, sullo sfondo l’isola artificiale del Mose e alle spalle la fortezza asburgica della Torre Massimiliana, chiusa da tempo. Raggiungerlo è difficile senza barca privata.
«Non ci sono collegamenti, penso io alla manutenzione dell’arenile, ma sarebbe compito di altri», spiega Gabriele De Bei, titolare del ristorante, «Eppure questo posto sarebbe strategico, equidistante da Venezia e da Treporti. Ho provato a realizzare un servizio navetta gratuito, poi è naufragato per il Covid e ora chissà». Veneziano, da cinque anni si è trasferito in questo angolo di terra perché «alzarsi al mattino e vedere Burano illuminata dal sole non succede a tutti».
Il suo locale è aperto come servizio mensa per i muratori al lavoro a Sant’Erasmo. A cantiere finito, chiuderà in attesa di tempi migliori. Il servizio d’asporto? Troppo poche le richieste dei residenti. Come troppo pochi sono i nuovi nati in un anno: si contano sulle dita di una mano.

Così puntualmente la sopravvivenza della scuola materna traballa: «C’è grande incertezza, qui a sposarsi vengono solo coppie da fuori», conferma don Mario Sgorlon, 64 anni, parroco dal 1998. Di rilancio del lavoro e della residenzialità si parla da tempo. L’ultimo progetto (ideato da imprenditori locali) prevede un edificio di due piani, 825 metri quadri in totale per la promozione dei prodotti locali, da realizzare in un’area abbandonata da anni. Qualcosa si muove. Ma il giro di boa per rilanciare l’isola è ora.
«Questa crisi ci ha fatto capire che servono servizi e prospettive per il futuro», conclude il commerciante Nardin, «Serve investire su residenti e lavoro, sul turismo sostenibile in un’isola interamente ecologica. Vivere qui dovrebbe essere un’opportunità e non un confinamento». —
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