L’uomo che scoprì i cespugli nell’evoluzione

L’appassionata ricerca di Stephen Jay Gould «Noi non discendiamo dalle scimmie»
Di Vera Mantengoli

di Vera Mantengoli

VENEZIA

Scrivere lo aiutava a capire, diceva. Da quel giorno in cui, bambino, si ritrovò faccia a faccia con lo scheletro di un tirannosauro nel Museo di Scienze di New York la domanda su chi siamo e dove andiamo non abbandonò mai Stephen Jay Gould, uno dei più grandi studiosi dell’evoluzionismo (New York 1941 - 2002). A dieci anni dalla sua morte l’Istituto di Scienze, Lettere e Arti di Venezia lo ricorda con un convegno intitolato «Stephen J. Gould’s Legacy: Nature, History, Society», in programma a Palazzo Franchetti dal 10 al 12 maggio (www.istitutoveneto.it). Gould fu autore di circa trecento articoli e di ventidue libri, alcuni pensati proprio per informare il grande pubblico e renderlo partecipe delle teorie scientifiche attraverso un linguaggio comprensibile, come gli avvincenti Il pollice del Panda e Bravo Brontosauro. La sua appassionante produzione letteraria non è infatti separata dall’impegno sociale e civile che dimostrò tentando di rompere alcune posizioni ritenute da lui stesso «pseudoscientifiche» come quelle dei creazionisti che ritengono la Bibbia un documento in grado di spiegare l’origine dell’universo; per alcuni esponenti di questa corrente l’evoluzione non è infatti altro che il risultato di un disegno divino già determinato. Per Gould l’evoluzione invece non è lineare. Lo studioso utilizza la famosa metafora del cespuglio per spiegare come e perché alcune specie si sono evolute e altre no. Nel cespuglio alcuni rami non crescono mentre altri, se riescono a trovare una corrispondenza con l’ambiente, si sviluppano. L’adattamento è frutto quindi di alcune variazioni genetiche che avvengono casualmente; se queste variazioni portano a un’interazione positiva con l’ambiente diventano stabili. «Gould ha gettato dei ponti tra natura e cultura - afferma Maria Turchetto, docente di Epistemologia delle Scienze Sociali a Ca’ Foscari e membro del comitato organizzativo - come ha spiegato nel suo ultimo libro che presenteremo in anteprima al convegno, Ontogeny and Phylogeny. Il nostro cervello, a differenza delle altre specie, non rimane immutato, ma già nel primo anno quadruplica la sua massa. Per tutta la vita ha la capacità plastica di riconfigurare le reti neurali grazie all’esperienza che avviene nella continua interazione tra soggetto e società». Questa interazione prende il nome di cultura che, nel contesto scientifico, significa tutto ciò che è appreso e non è istintivo. Per questo motivo oggi non si parla più di evoluzione biologica, ma di evoluzione culturale.

Un altro fraintendimento che Stephen Gould cercò di abbattere è la credenza che l’uomo derivi dalla scimmia, aggravata dalla diffusione della famosa vignetta del quadrupe che, evolvendosi, si trasforma in essere umano: «Non solo è sbagliata - prosegue la Turchetto - ma la scimmia diventa sempre più alta e sempre più bianca, aspetto che Gould avrebbe ritenuto sicuramente razzista. L’uomo non discende dalla scimmia, ma è una scimmia imparentata con progenitori in comune».

Anche la Basilica di San Marco diventa una metafora per spiegare l’evoluzione. N. e parlerà Richard Lewontin, docente e collega dello studioso all’Università di Harvard. Insieme scrissero un saggio intitolato I pennacchi di San Marco e il paradigma panglossiano: «Tra le volte e le colonne - ricorda il presidente dell’Istituto Veneto, il biologo Gian Antonio Danieli - vennero inseriti dei pennacchi per esigenze strutturali che poi furono decorati e utilizzati con altre funzioni. Lo stesso avviene nel caso dell’evoluzione. Un esempio? Le corna degli animali, escrescenze originate con altro significato ma poi utilizzate come segnale di tipo sessuale e nei combattimenti rituali dei maschi». Il convegno su Stephen Gould ci ricorda che la scienza non è un mondo a parte, ma un laboratorio di menti vive e curiose. Tra fossili millenari di conchiglie, impronte di giganteschi dinosauri, cumuli di ossa di varie dimensioni, animali imbalsamati e analisi chimiche, si lavora anche per dimostrare l’uguaglianza tra gli esseri umani e il contributo che ognuno può dare alla società. Un richiamo a un mondo un po’ assopito: svegliatevi, la cultura siamo noi.

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