Mafia a Eraclea, si apre il processo monstre con gli imputati in teleconferenza: è subito polemica

Gli avvocati contestano la legge, fatta per risparmiare. Si chiede che i detenuti in carceri lontani (compreso Donadio) vengano avvicinati 
MESTRE. Mercoledì in Aula bunker di via delle Messi, udienza preliminare per il rinvio a giudizio dei 76 imputati nella maxi inchiesta sul clan camorristico di Luciano Donadio. Diventato in gergo i “casalesi di Eraclea”. Una prima udienza di un processo monstre che a Venezia non si vedeva da decenni, dai tempi della Mafia del Brenta e in occasione di alcune trasferte dei processi alla Mafia siciliana.
 
Non sarà un processo semplice. Anzi, si preannuncia lungo e ricco di ostacoli per il suo regolare svolgimento per inevitabili polemiche legate all’uso delle teleconferenze, per l’impossibilità degli imputati di essere in aula. Molti di loro hanno annunciato di voler andare al dibattimento, quindi pochi sceglieranno i riti alternativi. Considerata la montagna di atti prodotti dall’accusa e i reati contestati, il dibattimento sarà lungo e rischia di paralizzare in parte l’attività del Tribunale per diverso tempo.
 
I magistrati
 
Il Giudice per le indagini preliminari di questa prima udienza è il dottor Andrea Battistuzzi. Il processo mercoledì si dividerà in due filoni: da una parte chi sceglie i riti alternativi come l’abbreviato o il patteggiamento e dall’altra proseguirà con chi preferisce il dibattimento in aula. Battistuzzi seguirà i riti alternativi. A questo punto si presenta un primo ostacolo. In Tribunale a Venezia non ci sono più giudici che possono seguire il processo. Tutti sono incompatibili in quanto hanno già espresso un loro parere su qualche atto riguardante i vari imputati. Dovrà essere scelto un giudice da fuori. L’accusa è rappresentata dai sostituti procuratori antimafia Roberto Terzo e Federica Baccaglini. Considerata la concomitanza delle udienze tra riti alternativi e dibattimento i due pm si divideranno i compiti. Quasi sicuramente Terzo seguirà il dibattimento.
 
Le teleconferenze
 
Diversi dei legali impegnati nel procedimento lamentano il fatto che si tratti di un processo dove viene meno la possibilità della difesa di esercitare la propria funzione. Infatti molti degli imputati sono ancora detenuti in carceri lontani dalla sede del processo. Questo vuol dire che non saranno presenti all’udienza in quanto, da qualche anno, non è più garantito il trasporto dei detenuti da carceri lontani, per risparmiare. Possono assistere al processo in teleconferenza. Per i legali, non si garantisce la possibilità dell’imputato di parlare con il suo legale mentre assiste alla deposizione dell’accusa. I legali stanno chiedendo di far trasferire in carceri, vicino a Venezia, il proprio assistito.
 
l’inchiesta
 
Cinquanta arresti, di cui 47 in carcere e tre ai domiciliari. Ottantadue indagati, ora diventati settantasei. Tutti a vario titolo accusati di aver agevolato o di far parte di un’organizzazione criminale legata al clan dei casalesi. A loro sarebbero riconducibili un gran numero di reati: usura, estorsioni, rapine, truffe, illeciti fiscali, droga e armi. E voto di scambio. È febbraio 2019, quando la Procura di Venezia scoperchia il vaso della criminalità a Eraclea. Una galassia che ruotava intorno a Luciano Donadio, boss affiliato alla camorra di Casal di Principe.
 
L’organizzazione risulta formata già alla fine degli anni ’90. Al vertice, insieme a Donadio, anche Raffaele Buonanno, imparentato tramite la moglie con esponenti di vertice dei clan Bianco e Bidognetti. Dall’indagine di Polizia e Guardia di Finanza è risultato come, con violenza e minacce, il clan agisse per prendere il controllo delle attività economiche, in particolare nell’edilizia e nella ristorazione, oltre ad imporre ai gruppi criminali locali un “pizzo” per il narcotraffico e lo sfruttamento della prostituzione. E non mancava l’uso di armi da guerra, per compiere atti intimidatori. Ma soprattutto per affermare l’egemonia sul territorio.
 
L’indagine poi ha coinvolto il sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, indagato per voto di scambio insieme al suo predecessore Graziano Teso. Sindaco finito in carcere e tornato in libertà solo di recente. Sequestrati beni per 10 milioni di euro In tre diversi episodi: secondo la Procura, Donadio era infatti riuscito a condizionare le elezioni amministrative. Un modus operandi che, come si è scoperto dalla chiusura delle indagini guidate dal pm Roberto Terzo, avrebbe coinvolto anche il vicino comune di Caorle. 
 

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