Mantovani porta al concordato un debito di oltre 180 milioni

La società ha tempo fino a fine marzo per presentare il suo piano di rilancio Il crollo dei ricavi, lo scandalo Mose e ora la proposta di saldo parziale ai creditori
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - SIT IN DAVANTI ALLA MANTOVANI
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - SIT IN DAVANTI ALLA MANTOVANI



Il debito è un oceano tra i 180 e i 200 milioni di euro che rischiano di affondarla. Ma resiste, vuole riemergere e tornare sul mercato l’impresa di costruzioni ing.E.Mantovani spa, un colosso del settore prima di restare travolta dallo scandalo Mose fondata nel 1986, dal ’93 nella Serenissima Holding che fa capo alla famiglia Chiarotto, una sede legale a Mestre e una sede operativa a Padova in via Belgio 26. Ecco perché il 15 novembre ha prenotato un concordato per ora in bianco, eppure accolto dal tribunale di Padova (prima sezione civile presieduta dal giudice Giovanni Amenduni) con una serie di prescrizioni da rispettare sui quali vigileranno i due commissari giudiziali, i commercialisti Marcello dalla Costa e Remo Davì. Tempo quattro mesi (prorogabili di altre due) e l’avvocato Roberto Nevoni e il collega Andrea Olivieri (legali di Mantovani) dovranno predisporre proposta e piano di concordato.

La crisi

L’inchiesta giudiziaria sulla costruzione del Mose – il sistema di dighe mobili per proteggere Venezia dall’acqua alta gestito dal Consorzio Venezia Nuova, il gruppo di imprese cui sono affidati i lavori– scopre un gigantesco giro di tangenti che tira dentro tutti: dal vertice della Regione (l’ex governatore Galan e l’ex assessore Chisso) a ministri del Governo, dall’allora sindaco Orsoni e ad alte cariche amministrative. Un’inchiesta che trova la strada spianata anche grazie alle confessioni del presidente del consiglio di amministrazione di Mantovani, l’ingegnere Piergiorgio Baita, arrestato il 28 febbraio 2013 per frode fiscale. Per l’azienda è l’inizio della discesa dopo tanti successi: dalla costruzione dell’ospedale di Mestre a quello dell’Alto Vicentino, dal terminal portuale al pif di Fusina e ancora al passante di Mestre. La società comincia a perdere importanti commesse.

L’EMORRAGIA

La perdita del portafoglio clienti si misura in diverse centinaia di milioni di euro mentre le indagini della procura veneziana si estendono al funzionamento del Consorzio Venezia Nuova, concessionario dei lavori per la realizzazione del Mose. Nel giugno 2014 l’ondata di arresti che travolgono anche la “testa” della Regione Veneto. Per Mantovani i rapporti con la committenza pubblica si fanno difficili mentre l’1 dicembre 2014 il Consorzio Venezia Nuova è commissariato. Nel 2017 i commissari e il provveditore alle opere pubbliche bloccano di fatto i lavori del Mose e con le imprese si apre un contenzioso non ancora definito. È proprio il Consorzio uno dei principali debitori nei confronti di Mantovani per decine di milioni di euro: quel pesantissimo credito darà il colpo di grazia all’impresa di costruzioni. Mantovani vanta pure un credito residuo di 8 milioni di euro per i lavori dell’Expo 2015. In questo contesto ha pesato la sfiducia delle banche che, di fatto, hanno chiuso i rubinetti e non rilasciato più garanzie.

Dalle stelle al buio

Se nel 2001 Mantovani fatturava 90 milioni di euro, nel 2008 tocca i 503 milioni attestandosi sui 540 nel 2014, poi la caduta è brusca. Nel 2015 il fatturato passa a 180 milioni, l’anno seguente a 116,4.

Nel 2018 la cessione del ramo d’azienda costruzioni e la nascita di Coge Mantovani con il passaggio di un centinaio di dipendenti tra supertecnici e operai specializzati. Solo in 11 restano nella “vecchia” Mantovani che gestisce partecipazioni societarie, immobili e progetti infrastrutturali bloccati.

Rinascita possibile

Ora i legali lavorano al concordato, l’unica via d’uscita per evitare la débâcle e guardare a un futuro possibile. Molto dipenderà se si riuscirà nella vendita degli attivi, partecipazioni e crediti. La proposta di saldare una percentuale del debito dovrà essere valutata dal tribunale poi approvata dalla maggioranza dei creditori, infine omologata sempre dal tribunale in composizione collegiale (è l’approvazione definitiva).

A questo punto di passerà all’esecuzione, la strada - secondo i vertici di Mantovani – per far tornare a vivere l’azienda. —



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