MARIN FALIERO L'unico doge che perse la testa

Chi ha visitato la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Venezia avrà di certo notato che nella serie di ritratti dei dogi veneziani, compare nello spazio dedicato al doge Marin Faliero non un suo ritratto, bensì una tavola con un drappo nero dipinto e la frase «Hic est locus Marini Faletro decapitati pro criminibus», ossia condannato alla decapitazione per il reato di alto tradimento. Censurarne l'immagine voleva dire condannarlo per sempre alla damnatio memoriae. Tuttavia l'effetto fu esattamente l'opposto. Marin Faliero è e rimane il doge più conosciuto e celebrato dagli artisti in letteratura, musica, pittura. Senza contare la fama popolare che tra leggende e verità ancora rende vivo il ricordo di questo doge scomodo e "maledetto". Ma chi era e cosa combinò per essere decapitato, unico tra tutti i dogi di Venezia? Ce lo spiegano la scrittrice veneziana Cristina Nadin e lo studioso di storia e letteratura veneziana Lorenzo Somma con il loro libro, appena arrivato nelle librerie, dedicato alla figura di Marin Faliero. Lo sventurato doge di Venezia, EdizioniAnordest. Accurata e interessante la ricostruzione storica della Nadin per il taglio con cui presenta questo doge passato alla storia per il cattivo carattere e per il tentativo fallito di trasformare Venezia in una Signoria. La tradizione racconta che a pochi mesi dall'essere diventato doge, scoppiò un terribile scandalo a causa di un giovane nobile che aveva messo un biglietto sullo scanno dogale in cui aveva scritto «Marin Falier della bela moier altri la galde e lui la mantien» offendendo in tal modo sia la moglie del doge che Faliero stesso. Al nobile fu data una leggerissima punizione e questo sarebbe stato il motivo che fece andare su tutte le furie il doge tanto da indurlo ad organizzare con un gruppo di persone una congiura di palazzo che mirava ad assassinare la nobiltà e instaurare la Signoria. La congiura tuttavia viene scoperta e fallisce. Il Doge ammette il piano e a quel punto non resta che la decapitazione. Questo è quanto si è sempre raccontato, ma giustamente nel libro Nadin fa notare che più che il motivo della gelosia c'erano invece questioni politiche importanti. Il doge era stato eletto quand'era ormai settantenne, non aveva mai ambìto a quella posizione, pur essendo uno degli uomini più ricchi, influenti e conosciuti dentro e fuori Venezia. Anzi forse fu eletto proprio per relegarlo nel ruolo di doge, con cui per assurdo avrebbe avuto meno potere, sarebbe stato sotto controllo, facilitando la nobiltà a continuare quel tipo di politica avviata dal doge Pietro Gradenigo, orientata ad accentrare sempre di più il potere nelle mani della nobiltà. Inserire i testi di Lord Byron, la lettera di Petrarca, contemporaneo del Doge, il manoscritto di Marino Sanudo sulla vita di Faliero, scritto alla fine del 1400, arricchisce molto la possibilità di conoscere il giudizio sul doge attraverso la voce di illustri scrittori, arrivando fino a oggi con le analisi di Nadin e Somma. Un libro agile, molto scorrevole che invita a scoprire, o riscoprire, questa pagina nera della Repubblica veneziana. Marin Faliero confessò la congiura e pagò con la vita per questo, ma i nobili che dal periodo di Gradenigo in poi avevano concentrato tutti i poteri nelle mani della nobiltà forse pagarono? No, perchè formalmente non c'era nessuna congiura. E allora basta leggere nella tragedia di Byron l'atto V, scena III quando il Doge afferma «Io non sono innocente... ma sono forse costoro senza colpe? Io muoio, ma non invendicato: le età lontane fluttuano dagli abissi del tempo che verrà, e mostrano a questi occhi, prima che si chiudano, il destino funesto di questa orgogliosa città, ed io lancio la mia maledizione a lei e ai suoi, per sempre! Venezia sarà comprata e venduta, e sarà appannaggio di quelli che la disprezzeranno. Si abbasserà ad essere una provincia invece che un impero, una città da poco invece che una capitale, con degli schiavi per senatori, dei mendicanti al posto dei nobili».
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